Nel Napoletano, una quindicenne viene ripresa durante il rapporto sessuale. Poi, ricattata, è obbligata a subire la violenza degli undici amici del suo ragazzo, figlio di boss. Nella chiesa di Saint-Etienne-du.Rouvray, periferia di Rouen, orribile uccisione del vecchio parroco durante la messa. Sono storie diverse, ma improntate alla violenza.
Violenza compiuta da maschi, spesso giovanissimi. Ma l’accostamento deve arrestarsi qui. Non sarei d’accordo – lo dico con molta cautela – nell’amalgamare i gesti di terrorismo con la violenza sulle donne (come invece mi pare pensare Alberto Leiss sul manifesto di martedì 26). Questo, benché di ”grande amore degli uomini per la guerra” parli Hillman; benché la violenza sia un modo di espressione (patriarcale) della sessualità. Generalmente, sì, della sessualità maschile.
Ma quella rivendicazione di dominio maschile e, contemporaneamente, la forte assunzione di libertà femminile, hanno una specificità, una storia, tutta loro.
Per il terrorismo, invece, variano le motivazioni. A volte la “chiamata” può venire da Daesh; o dalla macabra celebrazione di Anders Behring Breivik, che nell’isola di Utoya uccise metodicamente 69 giovani militanti social-democratici; dai videogiochi guerrieri. Dalla rabbia per aver assistito a “un bacio tra due gay” (così ha spiegato la strage – 50 vittime – il padre del killer omofobo di Orlando in California); o da una identità traballante.
La religione, l’Islam, la civiltà occidentale, la secolarizzazione, spesso coprono un’origine “modesta” della violenza. Ciò che avvicina il lupo solitario, il criminale convertito, il jihadista appena reclutato oppure di ritorno dalla Siria, è la spinta a infliggere più dolore possibile. Colpire senza distinzione di età, sesso, nazionalità. D’altronde, la prima vittima di Nizza era una donna musulmana. D’altronde, in Siria, in Iraq, l’esercito di uomini neri con le bandiere nere uccide soprattutto musulmani.
Quegli uomini donne bambini che provano a sfuggire a una simile sorte e cercano di salvarsi attraverso viaggi estenuanti. Disperati. Arrivati qui, in Europa, vengono accolti da sguardi sempre più diffidenti, da esplicite reazioni di rifiuto.
Sappiamo quanto sia cambiato lo spazio pubblico. Con la chiesa, il museo, la terrazza di un caffè sfregiati. Di fronte alla barbarie Max Weber con quell’idea dello Stato, unico detentore del “monopolio della violenza fisica legittima” non produce grande rassicurazione.
Ormai è praticamente scomparsa la simulazione della violenza: la corsa all’impazzata dell’autocisterna (“Duel”), il treno impazzito (“Fuori controllo”), l’aereo lanciato contro il grattacielo (“Indipendence Day”), appartenevano al regno delle immagini fantastiche. Dopo l’11 settembre, le immagini traducono la realtà.
Papa Francesco, di fronte alla morte entrata nella parrocchia di Saint-Etienne de Rouvray, ha detto: “Questa non è guerra di religione”. Anche se “il mondo è in guerra sul serio”.
Io che non ho grandi capacità di attingere a un amore infinito e, nello stesso tempo, resto convinta che nulla legittima a uccidere, cosa posso fare in un mondo impaurito, in una società dove le vite vengono travolte?
Intanto, in un tempo nel quale il web gonfia le informazioni finte o vere, e da lì traggono ispirazione quanti inseguono il “martirio”, suppongo sia ragionevole non pubblicarne i nomi, le foto, le biografie. Sapere se erano in cura da uno psichiatra; se picchiavano la moglie; se avevano la sindrome di Asperger: magari mi procura un momentaneo sollievo grazie a delle spiegazioni che sembrano razionali. Però si tratta di una illusione. Probabilmente, lo è anche supporre che nella lotta al terrorismo, lo spazio pubblico non subisca torsioni.
La difesa possibile che io intravvedo consiste nello sviluppo delle relazioni. In molte abbiamo lavorato su una pratica collettiva per rinsaldare i legami. Si annunciano appuntamenti per l’autunno di femministe (anche alcuni uomini provano questa urgenza) per pensare insieme e cercare “buone parole” (Walter Veltroni sul Corriere della Sera del 27 luglio) capaci di resistere alla ferocia della violenza.
“Soffriamo con voi” ha detto Angela Merkel dopo il gesto mortifero nel centro commerciale di Monaco di Baviera. Un linguaggio non enfatico ma, appunto, umano.