Non ho votato il Movimento 5 Stelle. Considero pericolosa l’idea che hanno della giustizia; la cultura del sospetto; l’atteggiamento ambivalente sull’immigrazione. E ancora, la democrazia diretta; l’agitazione “anticasta” per quanto siano grandi le colpe da addossare ai partiti; la retorica dell’antipolitica.
Mi piace, però, che a Torino e a Roma abbiano vinto Chiara Appendino e Virginia Raggi.
Vacuo giovanilismo, il mio, oppure solita solfa del “fattore donna”?
Prendiamo qualche dato. Torino e Roma hanno oggi due sindache pentastellate; una leghista è andata al ballottaggio a Bologna; Gelmini e Carfagna di forza Italia hanno raccolto un altissimo numero di preferenze.
In una ricerca condotta da Euromediaresearch (di Alessandra Ghisleri) per conto della Fondazione Bellisario, gli intervistati alla domanda: A chi affiderebbe a parità di competenze la gestione dei fondi pubblici, hanno risposto per il 48 per cento: A una donna.
Più affidabile, concreta, meno corrotta rispetto al denaro pubblico. Dunque, meno astratta e più pragmatica; meno legata alle filiere affaristiche e più determinata.
Se l’amministratore pubblico, il consigliere, l’assessore, il deputato ha fatto “fetecchia”, perché non sperimentare la amministratrice, la consigliera, la assessora ecc. ?
D’altronde, la crisi ha costretto i partiti ad allargare le maglie. E poi ci sono i nuovi movimenti. Per la comunista Nilde Iotti non fu una passeggiata arrivare alla presidenza della Camera. Per la leghista Irene Pivetti si trattò di una brusca sorpresa.
Non vorrei dimenticare il terreno arato dal femminismo. La politica delle rivendicazioni che racconta un sesso come oppresso da tutelare, non affascina più tanto. Non siamo più negli anni Sessanta, quando le donne in ragione del loro sesso erano imprigionate in un destino obbligato. Incontriamo sempre meno eccessi di compiacenza delle donne nei confronti dei loro mariti. Il protagonismo femminile è in cammino.
La lettera con offerta di protezione del marito o ex marito di Virginia Raggi ha ricevuto molte critiche. E’ cambiato il ruolo maritale, maschile, e pure la lingua. Con un intenso dibattito tra “sindaco donna” o “sindaca”? Fino a quando il mestiere di architetto, magistrato, scrittore, era riservato ai maschi, aveva la meglio il “fallocentrismo ingenuo” (definizione della saggista e femminista appena scomparsa Benoite Groult) di chi credeva che il “neutro maschile” potesse rappresentare i due sessi.
Ma, e qui sta il punto, io voglio poter scegliere. Se la competizione mi offre quasi esclusivamente candidati maschi, la mia scelta si restringe.
Con le ultime amministrative, la scelta si è allargata. Per il primo cittadino non è dipesa dalla doppia preferenza di genere.
Infine, devo spiegare perché a me piace che ci siano due sindache a Roma e a Torino. Perché una donna con la sua presenza lavora a cambiare, anche senza che lo voglia esplicitamente, il sessismo ordinario. Si indebolisce quella credenza fondata sulla superiorità di un sesso (maschile).
Di più. Può avere parole sulle quali gli uomini restano silenziosi. Virginia Raggi ha ricevuto i centri antiviolenza minacciati di chiusura. Non sono questioni secondarie. Portano alla luce un tema, un problema, una tragedia sulla quale si preferisce glissare. E questo significa trasformare i comportamenti, il modo di vivere.
Una donna in un luogo di responsabilità può mostrarsi autonoma, e in questo modo spingere le altre a competere, a volersi affermare. Naturalmente c’è anche la possibilità, concretissima, che faccia riferimento ai capi, ai capicorrente, capibastone. A un’idea tutta maschile della competizione.
Non resta che aspettare e avremo la risposta.