Mi auguro che il Parlamento italiano vari il Ddl Cirinnà sulle unioni civili. Me lo auguro perché penso sia giusto riconoscere dignità alla scelta, al patto di convivenza tra due individui. Io dico che, accanto alla famiglia formata da un uomo e una donna, esistono oggi famiglie che chiedono di essere viste, guardate. Il Ddl Cirinnà accetta la sfida.
Conosciamo coppie di due uomini, di due donne, con o senza bambini. Incrociamo nuclei composti da nonna e nipote; da due sorelle; da due amici; da una sola persona con il suo cane oppure con il suo gatto. Non sono famiglie queste?
Se il Pontefice ha parlato (alla inaugurazione dell’anno giudiziario della Rota Romana) di “carattere sacro” della famiglia voluta da Dio, ha pure consentito che sì, esistono “altri tipi di unione”. E comunque, se “per libera scelta o per infelici circostanze della vita, vivono in uno stato oggettivo di errore, continuano a essere oggetto dell’amore misericordioso di Cristo e perciò della chiesa stessa”.
Lo Stato italiano pare, invece, misurare gli “altri tipi di unione” in base all’orientamento sessuale. Il rischio della discriminazione o almeno della penalizzazione è forte. Secondo me, il Ddl Cirinnà prova a rimediare a questa situazione: non con un simil-matrimonio o con una (brutta) copia della unione famigliare eterosessuale da riservare a quella omosessuale, ma attraverso una forma nella quale contano più i sentimenti che il potere; più l’affetto che il vincolo; più la responsabilità che gli obblighi.
La famiglia è cambiata. In quanto prodotto storico, ha mutato faccia.
C’entra la scienza, la tecnica, la soggettività, i diversi rapporti tra i sessi e con i figli, ma soprattutto la risolutezza delle donne nel prendere in mano la propria vita. Più che il libertarismo sessantottino credo siamo state noi a mettere in questione la favola che ci veniva raccontata: Ti sposi, metti al mondo dei bambini e ti dedichi anima e corpo a questo piccolo impero chiuso nelle quattro mura domestiche. Un vento di libertà e il nuovo Diritto di famiglia hanno trasformato quello spazio dove lui possedeva un ruolo dominante mentre a lei si affidava quello riproduttivo. Quanto ai figli, non chinano più il capo davanti al padre-padrone.
Nora ha sbattuto la porta della “Casa di bambola”. Tutto sommato, non so cosa ne pensiate voi, però credo che l’opera di “rottura del sistema patriarcale attraverso la dissoluzione dell’istituto familiare ad opera della donna” (Carla Lonzi) sia stata una buona cosa. Si sono aperte delle crepe nella superficie (che pareva compatta) della sessualità. Non c’è più un solo modello di famiglia. Benché l’oppressione nei rapporti uomo-donna si annidi ancora tra le mura domestiche: lo dimostra il numero altissimo di violenze che lì vengono perpetrate.
Certo, siamo rimasti gli ultimi in Europa a non avere una legge per l’unione di persone dello stesso sesso. Ma il punto è un altro.
Dal momento che la società non è immobile e “i diritti fondamentali (“naturali”) dell’uomo non sono un elenco di privilegi iscritti in una natura metafisica e stabiliti una volta per tutte” (Dario Cecchi sul Lavoro culturale del 23-01), sarebbe giusto, penso io, che si tenesse conto della articolazione delle identità e delle trasformazioni nell’ordine simbolico.
In autobus, al bar, sul ballatoio, nel terrazzo condominiale, veniamo sfiorati dalla coppia di omosessuali, di transessuali, di uomini e donne non uniti da vincolo matrimoniale (li chiamavano concubini) che pure coltivano un progetto in comune, si sostengono, vogliono scambiarsi cura e attenzione. Ebbene, questo ribaltamento dell’ordine simbolico ci mette paura.
Specialmente in un Paese dove la famiglia (andrebbe scritta con la maiuscola?) è oggetto di diritti mentre le nuove forme relazionali non possiedono alcuna tutela giuridica: dall’assistenza in caso di malattia, all’uso della casa comune all’eredità del partner, alla reversibilità della pensione. Tutto ciò mentre i matrimoni diminuiscono e la natalità retrocede.
Lo Stato, invece di imporre una norma cogente e restrittiva, dovrebbe dare prova di immaginazione (sarà mai possibile?) riconoscendo che il matrimonio non è l’unico percorso possibile.
Sono convinta che questa discussione, per la sua intensità, per la passione con cui si svolge, vada proseguita. E’ successo sabato scorso con l’Arcobaleno che ha riempito 98 piazze italiane e potrebbe verificarsi sabato prossimo con il Family Day. Purché siano messi al bando schieramenti e preconcetti. Sapendo che, accanto alla “irrinunciabile verità del matrimonio tra un uomo e una donna” del Pontefice, c’è la verità di tante famiglie che non può essere negata più a lungo.