Pubblicato sul manifesto l’8 dicembre 2015 –
Intorno a me accadono cose di così enorme valore e così alta complessità che la mia debole mente si confonde, e non so più trovare la parola da commentare. In Francia si afferma la Le Pen (nella doppia figura di zia e nipote). Si teme che dalla patria dell’illuminismo e di tante altre belle cose uno strano clan familiare, strumentalizzando le buone ragioni del popolo, distrugga ciò che resta dell’Europa. Quasi tutti i paesi europei, con Russia, Turchia, Iran ecc. dichiarano guerra all’Isis, ma ancora non si vede una strategia comune. Obama parla alla nazione e cerca di salvare il meglio della sua presidenza, messa a dura prova. Il Papa oggi apre la porta romana del Giubileo, reduce da uno storico viaggio in Africa. Più che della misericordia globale si parla però del rischio di attentati e dei divieti a far volare droni e elicotteri sospetti. Il sentimento più evocato è la paura.
Io allora mi rifugio in quanto ho letto domenica nella rubrica Microcosmi di Aldo Bonomi sul Sole 24 ore (tra l’altro il titolo mi ricorda in modo consolante la musica geniale di Béla Bartok). Vi si racconta di un evento intitolato “fabbriche aperte nelle Venezie”. L’autore inizialmente è scettico: a chi può interessare oggi ciò che accade dentro una fabbrica? Ammesso che un oggetto simile esista ancora da qualche parte?
Invece l’esperienza produce un capovolgimento nel giudizio di Bonomi. Doveva andare in una piccola fabbrica di chiavi – e già questo gli sembrava terribilmente obsoleto – e scopre invece un’azienda leader nel mondo nella produzione di quegli oggetti magici con cui apriamo e chiudiamo a distanza le nostre automobili. Raffinata tecnologia, dunque, tramandata di padre in figlio, e sapientemente innovata. Ma non basta: l’amministratrice unica dell’azienda si è rivelata una convinta “olivettiana”, che ha aumentato l’occupazione femminile ( dal 18 al 38 per cento), attuato programmi di welfare per “conciliare” lavoro e vita familiare, e aperto rapporti con le scuole vicine.
Pare che il pomeriggio domenicale di “porte aperte” delle fabbriche venete abbia attratto migliaia di visitatori. Secondo Bonomi il rinato “fascino discreto” della fabbrica sarebbe dovuto alla mentalità dei nuovi imprenditori, votati al rapporto col “territorio”, le sue comunità, e con il mondo, e non più chiusi nel proprio particolare.
Non so se sia davvero così, comunque l’articolo mi ha fatto pensare che una cosa che bisognerebbe proprio fare, da parte di chiunque nutra una genuina passione politica, sarebbe quella di ripartire dalla vita reale e quotidiana delle persone, nella quale l’esperienza del lavoro, quando c’è (e quando non c’è è comunque una mancanza ben rilevante), resta molto importante. Soprattutto se, come suggerisce anche il rilievo dato dalla amministratrice “olivettiana” al welfare aziendale, si intende per lavoro, come dicono alcune amiche femministe, “tutto il lavoro necessario per vivere”. Cioè tutte le attività e il tempo che ognuno/a dedica non solo alla produzione di oggetti come le chiavi magiche per automobili, ma anche per assicurare la riproduzione della vita e la sua cura (senza persone viventi e sane, niente automobili e chiavi per aprirle).
E’ un piccolo ma fondamentale spostamento dello sguardo che da tempo avrebbero dovuto fare i sindacati (e i partiti sedicenti di sinistra). Se arrivano prima i “padroni”, ahimè, avranno una volta di più ragione loro.
(Inutile aggiungere che questo diverso sguardo sul quotidiano e le sue invenzioni è anche indispensabile per affrontare le questioni grandi e complesse che ci fanno paura)