di Monica Luongo
L’articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2015 sul Corriere della Sera (http://27esimaora.corriere.it/articolo/depilarsi-o-no-tra-italia-e-pakistan-la-moda-piu-forte-del-femminismo/#more-72203 )
Tutto è successo un anno fa, quando un uomo che frequentavo mi chiese di depilarmi «alla brasiliana». Nulla di strano nei desideri e giochi tra due adulti consenzienti, se non per il contesto in cui il fatto si svolgeva (anche se la conversazione era in chat): il Pakistan, dove vivo e mi relaziono ogni giorno con una realtà diversa da quella in cui io sono cresciuta. Più immodestamente in questo contesto direi la realtà che io, con altre e altri, ho anche contribuito a cambiare: libertà di azione, dei corpi, di religione e dunque anche di relazione.
La richiesta mi colpì non poco: tutti i musulmani senza distinzione di sesso si radono fin dall’adolescenza, perché il rituale fa parte delle abluzioni, necessarie per la preghiera. Si radono periodicamente le ascelle e il pube e confesso che vedere per la prima volta un uomo con un cerchio bianco che parte sotto l’ombelico e arriva alla parte alta delle cosce un po’ di impressione fa, a volte anche ridicola. In ogni caso radersi non è solo un precetto religioso, ma anche igienico secondo altre culture, come quella giapponese, per esempio.
Chiesi con garbo al mio interlocutore se la richiesta fosse dettata da motivi culturali e lui rispose che no, era solo una scelta di gusto. Lasciai sospesa quella richiesta, assai dubbiosa e molto molto più curiosa: perché io potevo avere dei rapporti con un uomo depilato e lui non con una donna da sempre affezionata al suo triangolo adulto? Ne facevo una questione discriminatoria: mi ricordava buffamente dibattiti e dicerie del vecchio femminismo (che io onestamente ho sempre ignorato), quando alcune di noi erano fiere di non depilarsi braccia, gambe e ascelle perché si ribellavano al «sistema» che le/ci voleva sempre come belle bamboline. Così iniziai un giro di opinioni tra amiche e amici musulmani partendo dalla domanda: siete mai stati con un essere umano non depilato??? A parte i si (pochi) e i no, nessuno mostrava una particolare resistenza al pube peloso, anzi la mia tweet-amica S. da Karachi propose di inaugurare l’ashtag #trimmingthebush ovvero «sfoltisci il bosco» per farne una questione più allargata: lei era convinta che la richiesta significasse più generalmente che gli uomini sono degli eterni immaturi, che sognano eroticamente delle bambine e che chiederlo a una donna occidentale rendesse la cosa più eccitante. Era comunque assolutamente contraria, così come altri amici uomini che mi incoraggiarono a mantenere il mio aspetto «consueto», perché quella era la mia cultura e nessuno aveva il diritto di chiedere cambiamenti.
Già, la mia cultura, ovvero quella che definirei genericamente occidentale. Poi nel corso dei mesi qualcosa è successo: nello spogliatoio della palestra che frequentavo in Italia e in quello che frequento a Islamabad la super-maggioranza delle donne di ogni età (nel secondo caso straniere) era totalmente depilata, con aggiunte di stile: triangolini e strisce di peli lasciati sul pube rasato, ciuffi, semi-selvatici, tatuaggi. Comprenderete il disagio (della civiltà): mentre io facevo tutte le mie elucubrazioni e osservazioni sulle diversità dei mondi e dei corpi, sulla inibizione o meno del significato filosofico del pube rasato, l’assenza di peli era diventata una moda e io non me ne ero accorta. Che vergogna.
A mettere una lastra tombale sul mio ritardo un interrogatorio da KGB condotto da mia sorella e da me su mio figlio ventenne, che si rifiutava per ovvie ragioni di pudore a parlare con madre e zia del pube delle sue amiche, ma che alla fine è stato costretto ad ammettere che sì, le ragazze si depilano tutte o scorciano i loro peli come una barba corta corta, orribilmente chiamata «dorso di topo» (piuttosto il cilicio). E una serie tv americana vista di recente, Jounger, in cui una quarantenne costretta a misurarsi con la disoccupazione decide di ridursi l’età per avere più chances di impiego e così cambia le sue compagnie frequentando le più giovani, choccate in palestra per averle visto un pube «come quello della loro madre», addirittura con qualche sfumatura di grigio.
Il dado era tratto. Dovevo provare anche io: con quale tecnica? Seconda indagine: il ginecologo minacciava di cancellarmi dalla lista delle pazienti se avessi osato adoperare creme depilatorie; il rasoio che molte amiche usano quotidianamente sotto la doccia mi faceva orrore. Restava la cera, destinata a eroine e combattenti. Anche se ti depili da quando sei una adolescente, l’esperienza è incomparabile, come quando ammutolimmo al cinema vedendo John Rambo nella foresta vietnamita ricucirsi il braccio da solo. Confesso, fa malissimo, anche se sei nelle mani della più abile delle estetiste.
L’effetto finale? Ancora mi devo abituare. Nei primi due giorni hai un pube colore rosso pompeiano, poi continui a guardarti allo specchio pensando alla canzone di Madonna «Who is that girl?». Allo stesso tempo ne riconosci la praticità e l’igiene. Se riscuote più successo? Per questa risposta rimando all’ashtag #whoisthatgirl.