Pubblicato sul manifesto il 25 agosto 2015 –
Quando ho letto sul manifesto (Angelo Mastrandrea venerdì 21) che il leader della “Piattaforma” che è uscita da Syriza in polemica con Tsipras, Panaiotis Lafazanis, ha parlato di nuovo inizio per la sinistra greca non ho potuto trattenere un moto di irritazione, di profondo fastidio. Mi verrebbe da dire che quando sento parlare di nuovo inizio la mano corre alla pistola (che naturalmente non ho a portata di mano…).
A cominciare dal nuovo inizio enfaticamente annunciato al tempo della svolta di Occhetto, e senza enumerare tutte le successiva occasioni mancate – malgrado ambiziosi proclami – di dar vita a sinistra a qualcosa di nuovo.
Dobbiamo dunque ripiegare su qualche vecchia consuetudine, che abbia se non altro il potere di consolarci un po’?
Fausto Bertinotti, sulla Repubblica, ha esortato la sinistra a imparare dalla Chiesa cattolica, e dalla rivoluzione rappresentata dal fatto che un Papa si è dimesso e “quello che gli succede viene da un altro mondo”. Sono del tutto d’accordo. Però se si vuole imparare bisogna osservare con attenzione. Bertinotti mette tutto l’accento sulla “rottura” e sulla “discontinuità” (altra paroletta, questa, leggermente irritante per l’abuso che ne è stato fatto dalle nostre parti), ma così si rischia di non vedere che l’efficacia della rivoluzione di Francesco poggia contemporaneamente sul legame e sulla tradizione che sono propri della Chiesa, il che non significa che l’azione del Papa non apra durissimi conflitti.
Facciamo per un momento il confronto tra le immagini di affetto, fraternità e reciproco riconoscimento che sono state messe in scena tra Ratzinger e Bergoglio, e – certo in un ben diverso contesto – il deludente esito della relazione tra Tsipras e Varoufakis, che pure aveva saputo catalizzare qualche entusiasmo in tutto il mondo.
Ecco un nodo totalmente rimosso. L’importanza che ha per il senso della politica la qualità delle relazioni tra le persone che la incarnano. Si tratta, nel caso, di uomini. Penso da tempo che sia di gran lunga preferibile il separatismo maschile consapevole della Chiesa cattolica rispetto a quello invisibile a se stesso delle varie chiese e chiesette della sinistra.
Mi ha colpito – ma non sorpreso, devo dire – che nel dibattito aperto da Norma Rengeri sull’ipotesi c’è vita a sinistra siano intervenuti finora esclusivamente maschi (sarà forse dovuto al fatto che le donne, ancorchè di sinistra, in agosto preferiscono saggiamente farsi in pace le vacanze?). E nessuno – se non mi è sfuggito qualcosa – ha fatto riferimento al tema, pur citato nell’editoriale di Rangeri, della “cultura femminista, protagonista e madre di un altro modo di pensare la politica”.
Credo sia dovuto al fatto che gli uomini di sinistra, quand’anche si accorgano che il femminismo è accaduto e ha cambiato qualcosa, in fondo pensano riguardi principalmente se non esclusivamente le donne stesse (e poco la politica).
E invece, caro maschio sinistro, de te fabula narratur. La differenza riguarda anche te e la pretesa continua di parlare, più o meno, a nome di tutto il genere umano. Ma soprattutto il pensiero e la pratica politica del femminismo, dei femminismi, aprono un interrogativo anche sulle nostre pratiche politiche e sulla qualità delle nostre relazioni, tra uomini. E anche sulla relazione che sappiamo costruire con la tradizione (quasi interamente di matrice maschile) che abbiamo alle spalle, ci piaccia o no. Non possiamo, per lo più, contare sull’aiuto dello Spirito Santo, come ricorda Bertinotti. Ma, almeno, su un po’ di senso della realtà?