Monica Luongo
L’articolo è pubblicato sul blog www.olimpiabineschi.it
Il coprifuoco può non solo imposto formalmente: le città chiudono per motivi di sicurezza (Kabul, per esempio), torni a casa alle 23 e puoi riuscire solo dopo le 6 al mattino. No, le città possono essere chiuse un po’ alla volta, in maniera semi formale, adottando provvedimenti che costringono chi ci abita a non circolare.
Da pochi giorni nell’intero Pakistan (una città con 22 milioni di abitanti come Karachi, o un piccolo distretto del Balochistan) i negozi devono chiudere alle 8 di sera, i ristoranti e gli altri locali alle 11. Motivazione ufficiale: la penuria di energia elettrica, uno dei peggiori mali del paese, “causa” austerity “costringe” il governo federale a promulgare questa direttiva. I condizionatori e i ventilatori cominciano a pompare e l’energia non è sufficiente.
Non ci credevo e nemmeno molti dei miei amici pakistani: vedrai, se ne parla ogni anno ma poi non se ne fa nulla. E invece l’altra sera un amico mi invita a cena più presto del previsto perché il ristorante chiuderà alle 11. A nulla sono valse le proteste dei negozianti: soprattutto i piccoli venditori di strada, quelli che vivono la notte, perché di giorno il caldo diventa vieppiù insopportabile e solo quando è tardi puoi uscire a passeggiare e prendere una boccata d’aria. E non è nemmeno troppo vero che il governo risparmia energia, perché davvero l’altra sera a mezzanotte la luce è scomparsa da F7, l’area più famosa e trafficata di Islamabad , quella più frequentata dagli stranieri, alla faccia della sicurezza, se resti in strada con una gomma a terra cosa fai? E il rischio di assalti e rapine?
Per chi resta a casa il conto si fa anzi più salato: più ci resti più paghi l’energia che consumi tra le quattro mura, e sono davvero bollette carissime, oltre al costo di batterie supplementari e per i più ricchi di generatori e carburante per farli funzionare.
Non c’è dubbio che la capitale pakistana sia la più sicura del paese: ti fermi decine di volte al giorno ai check point, il bagagliaio della tua auto controllato, cosa che già di per sé limita e frustra la tua libertà, in nome di ciò che “è bene” per te. Una parte del corpo diplomatico vive nell’enclave dedicata, dove ci sono le ambasciate e ora il governo americano e quello canadese hanno deciso di trasferire tutti i loro cittadini nell’enclave entro la fine dell’anno, costruendo palazzi e nuovi uffici. Così la forbice sociale tra pakistani e stranieri si allarga ancora di più (no, una cosa positiva c’è: i prezzi di affitto delle case scenderanno notevolmente).
Ma che vita già è? che vita sarà? Una vita da coprifuoco, un foulard di seta che si stringe in maniera un po’ più morbida intorno al tuo collo. E’ vero nessuno ti chiede di venire a vivere qui e chi lo fa ti paga profumatamente: ma una volta che ci sei arrivata questa è la tua vita, è la vita di tutte e tutti i cittadini.
Si lavora strategicamente sulla paura come arma di prevenzione: a San Valentino è stato chiesto ai fiorai ambulanti di vendere “discretamente” i fiori per gli innamorati, perché alcuni di loro erano stati assaliti dagli integralisti, piuttosto che proteggerli nel loro lavoro di un giorno che vale pochi spiccioli.
Si vive di paura quando una università di Lahore decide – dietro suggerimento dei servizi segreti – di non realizzare un workshop di Sabeen Mahmud, attivista dei diritti umani che avrebbe dovuto parlare contro la tortura e i rapimenti in Balochistan. E che ieri l’ha fatto a Karachi, la sua città, per poi essere uccisa nella sua auto mentre tornava a casa. I vetri del suo parabrezza e i suoi sandali rimasti sul fondo dell’auto sembrano lacrime. Chi continuerà ad andare al prossimo workshop senza avere paura di diventare un target? Così non si combatte, si evita e tra evitare e reprimere, nelle famiglie come nello Stato, il passo lo sappiamo è breve.
Sì è vero, a volte qui si soffoca e in una serata di brezza come questa in capitale anche io, che non ci penso mai, sogno una corsa sul mio motorino, dopo un gelato, con il vento in faccia.
Questo post è dedicato a S., che l’ha assunta perché è una giovane donna, e ha il coraggio di guidare una moto per andare al lavoro, cosa impensabile finanche a Islamabad. E anche questa è una dura battaglia: andare contro la soporifera e frustrante apatia sociale della maggioranza.