Sarà perché sono nata e cresciuta a Monteverde. Sarà perché ho avuto problemi con la malattia di mia madre (e poi anche di mio padre). Sarà perché ho visto tutti i film di Nanni Moretti. Sarà per queste e per chissà quali altre recondite ragioni, a me il film “Mia madre” ha convinto. E’ un film asciutto, senza fronzoli (a parte Turturro che mi è sembrato un po’ sopra le righe), che ci mostra come malattia e morte sono (o possono essere) affrontate in due modi diversi, non necessariamente connessi all’essere maschio o femmina: c’è chi scappa e c’è chi si fa carico. In ogni caso la sofferenza è sempre tanta. A tratti un po’ sbrigativo, ma questo è tipico di Moretti; però sempre capace di calibrare il serio e il faceto, nel senso che momenti divertenti – utili a riprendere fiato – pure ci sono nel film.
Un’annotazione sull’attrice Margherita Buy. Contrariamente a quanto afferma Ghisi Grutter (che non ho il piacere di conoscere ma capisco essere una grande professionista della critica cinematografica), io trovo la recitazione della Buy convincente, proprio per quel suo essere sempre un po’ sciatta e spettinata, costantemente “pensante”, senza orpelli o sovrastrutture prodotte da patetici interventi chirurgici estetici.
A parte ciò, devo dire che, uscendo dal cinema, ho detto a un’amica mia: Moretti prima ha fatto un film sul figlio morto, poi sulla moglie morta, ora sulla madre morta (senza contare quello sul papa “morto”…); a quando un film su eutanasia e suicidio assistito, magari connesso a qualche altro suo parente?