Questo mondo è abitato dalle donne e dagli uomini. Gli uomini, giustamente fieri della loro civiltà, ogni volta che compaiono delle crepe, le coprono con una mano di vernice.
In questo periodo di crepe ne scorgiamo tante. L’orrore del video mandato in giro dall’Isis in cui Muad Kasasbeah, pilota giordano di 26 anni, è arso vivo in una gabbia (c’era stato pure un sondaggio online in cui il Califfato chiedeva alla rete come uccidere il pilota). La risposta del governo giordano è stata: giustiziare, insieme a un secondo prigioniero, Sajida al Rishawi, la kamikaze irachena condannata a morte per il ruolo negli attentati del 2005 ad Amman.
Ma sì, orrore chiama orrore; violenza chiama violenza. Re Abdallah II di Giordania, tornato precipitosamente dagli Stati Uniti, ha rassicurato il suo popolo facendo capire che lui no, non è una marionetta nelle mani di Obama. Che ascolta la voce del popolo e quella del padre del pilota che vuole vendetta per il figlio “martire”. Odiare è nella natura degli uomini. Una famiglia in lutto va ripagata e vendicata.
Anche all’Università di Al-Azhar al Cairo, centro d’insegnamento dell’Islam sunnita, l’autorità religiosa ha invocato «l’uccisione, la crocifissione e la mutilazione dei terroristi dell’Isis.”.
L’11 gennaio, dopo gli attentati in Francia, i francesi si mobilitano: portano nella manifestazione fierezza e collera. Secondo i sondaggi il 53 % pensa che “sì. È una guerra”. Anche se un nuovo tipo di guerra dove si confondono l’arcaico e il web; dove il boia e la vittima sono spettacolarizzati dalla rete. Con un “rovesciamento sacrificale”, perché, come notava Paul B. Preciado, questa volta la vittima è occidentale. Benché le armate nere del Califfato, i talebani, al-Quaeda, Boko Haram massacrino studentesse, donne, bambini nelle scuole pakistane, nello Yemen, in Nigeria.
Il mondo è un macello. In effetti, le crociate, i pogrom, i ghetti, le espulsioni dimostrano che, sotto la vernice della civiltà, corre la lava della violenza.
Anche se adesso si può spendere la carta della laicità. Una carta un po’ troppo nuova. Sempre in bilico tra una concezione disciplinare (sostenuta da leggi come quella sul velo in Francia) e i “grandi valori universali”. In alcune scuole delle banlieues, dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo e nel mercato casher, i ragazzi hanno rifiutato di rispettare il minuto di silenzio. Non basterà spiegargli l’importanza della libertà d’espressione e della satira, poi, che per far ridere, deve rivendicare il suo diritto all’insolenza.
Certo le donne sembrano meno coinvolte. Atalia, protagonista dell’ultimo romanzo di Amos Oz “Giuda”, dice: “Da millenni avete il mondo nelle vostre mani e l’avete trasformato in un orrore. Forse solo usarvi, si può. A volte consolarvi un po’. Forse della vostra inettitudine”.
Tuttavia, dividere il mondo tra donne e uomini non so quanto servirà a migliorarlo, dal momento che ci viviamo tutti e tutte: quelle che hanno sfilato alla manifestazione di Parigi; quelle sposate a un jihadista che ora portano il velo integrale e si sono convertite per amore di un uomo o di Allah; le guerriere kurde a Kobane. Certo, tante donne lavorano perché all’odio non si risponda con la guerra. Ma quando la violenza bussa alla porta, è difficile che una mano di vernice riesca a coprire l’odore del sangue che si trascina dietro.