Pubblicato sul manifesto il 24 febbraio 2015 –
Ho avuto un’esitazione se scrivere altro con la lettera minuscola. Con la maiuscola avrebbe tirato in ballo il grande Altro, di lacaniana memoria. Un riferimento alle strutture fondamentali del simbolico che ci determina, dalla figura materna alla legge del padre, all’ Altro sesso.
In realtà il mio titolo si riferisce a un piccolo libro, ma molto denso, scritto da Sergio Manghi: L’altro uomo. Violenza sulle donne e condizione maschile (Pazzini editore, 11 pagine, 10 euro). Manghi è un sociologo che insegna a Parma e che ha scritto su autori come Edgar Morin, Gregory Bateson, Renè Girard. L’altro uomo nel suo testo è quella figura, concreta o immaginaria, che sembra essere quasi sempre presente sulla scena della violenza che noi maschi esercitiamo contro le donne. Nel romanzo di Joe R. Lansdale In fondo alla palude ciò che fa “andare in bestia” l’io narrante maschile è vedere al collo della “sua” donna una catenina regalata dall’altro, uno “stupido mediconzolo, che ci si divertiva”… E la cronaca di ogni giorno ci racconta la violenza degli uomini che scatta di fronte a una scelta di autonomia e di libertà da parte delle loro fidanzate, mogli, figlie, sorelle. Preferiscono lavorare anziché stare a casa, vogliono viaggiare, magari ci lasciano persino. Dietro queste scelte scorgiamo altri uomini, che ci vengono preferiti, con i quali siamo in più o meno oscura competizione.
E’ per via di questa relazione rimossa che anche la relazione con la donna è in realtà una non-relazione, una riduzione dell’altra a oggetto, contro il quale eventualmente ci si accanisce quando ci si sente sconfitti.
L’analisi di Manghi – che non pretende di assolutizzare: è un punto di vista, un linguaggio con cui descrivere le cose – induce a riflettere sul bisogno di leggere le dinamiche relazionali, di vedere la complessità della danza che continuamente le anima.
Normalmente la violenza maschile viene messa in relazione al carattere e alla cultura di chi la esercita, tutt’al più al contesto culturale che quella cultura e psicologia determina. E al come questo influisce nel rapporto con la donna-vittima. Questo libretto ci suggerisce di guardare oltre, e di verificare se la radice della violenza non sia in realtà una irrisolta questione nella relazione tra uomini.
Tanto più oggi – qui si riaffaccia la questione del simbolico – quando anche per Manghi “la presa del codice gerarchico-patriarcale… va rapidamente scemando”. E di fronte all’irruzione, in pochi decenni, di nuove libertà femminili, gli uomini vivono “un profondo smarrimento”.
C’è dunque un invito a guardare con più attenzione alle dinamiche delle relazioni tra uomini: un passaggio necessario per cambiare anche il rapporto con le donne. E a meditare su ciò che già, nel discorso maschile, ha rotto con quella tradizione gerarchico-patriarcale generatrice di violenza. A cominciare – detto da un uomo che si dichiara non credente – dalle parole di Gesù: il perdono dalla croce ai suoi carnefici, l’invito a “offrire l’altra guancia” sono in realtà la proposizione di un discorso totalmente altro rispetto al tradizionale “colpo su colpo” che informa ancora oggi la competizione tra uomini.
Un percorso di cambiamento, un imprevisto che può aprire a una nuova dimensione simbolica – scrive Manghi – “pater-materna”. Sembra un riferimento, non esplicito, all’”ordine simbolico della madre” di cui ha scritto la filosofa femminista Luisa Muraro.
Purchè la necessaria attenzione all’altro uomo, non si traduca in una qualche nuova rimozione dell’altro sesso. Con o senza lettera maiuscola.