THE IMITATION GAME – film di Morten Tyldum –
Nell’Inghilterra in guerra si cercavano i più bravi crittografi con l’obiettivo di decifrare il codice Enigma, ideato dai Nazisti per comunicare le loro operazioni militari e modificato quotidianamente.
A questo compito è chiamato Alan Turing – interpretato da un fantastico Benedict Cumberbatch – giovanissimo e geniale ricercatore matematico e crittoanalista dell’Università di Cambridge il quale viene affiancato da alcuni collaboratori tra cui il maestro di scacchi e campione nazionale Hugh Alexander (Matthew Goode) e il giovane Peter Hilton (Matthew Beard). Turing è un “diverso”. È certamente un genio matematico ma è, da un lato timido e impacciato, dall’altra arrogante e molto sicuro di sé; presenta, pertanto, grosse difficoltà relazionali sia con i superiori sia con i suoi collaboratori verso i quali manifesta un atteggiamento scorbutico e scostante. Tutto ciò fino a quando entrerà nella sua vita una figura femminile Joan Clarke – una anche troppo bella Keira Knightley – da lui stesso selezionata con dei test, appassionata di logica matematica e velocissima (perfino più di lui!) nel risolvere problemi. Il film oscilla continuamente fra tre tempi narrativi: a Manchester nel 1952 Alan Turing – da considerarsi pioniere dell’informatica ma arrestato con l’accusa di “atti osceni” – racconta, con la voce fuori campo, in una sorta di confessione a un poliziotto empatico tutta la storia tenuta nascosta, perché il gruppo era costretto a lavorare sotto copertura. Quindi si passa a Bletchley Park, località a 75 km da Londra, negli anni 1939/40 dove si svolgevano le ricerche per l’invenzione del “calcolatore digitale”, macchina capace di decrittare tutto compreso il codice Enigma. Il regista, come tutti i suoi collaboratori, non sono inglesi ma riescono a immettere nel film piccoli dettagli molto british: dalle classiche stradine con i mattoncini rossi ai primi piani sui vestiti dalla giacca di tweed alla camicia tartan di cotone.
Il terzo tempo narrativo risale all’adolescenza di Turing a Cambridge, preso in giro dai suoi compagni di classe per la sua diversità (guarda caso era anche ebreo…) e salvato da Christopher, l’unico grande amico di Alan, che muore giovanissimo. Proprio in quelle scene s’intravede un interesse eccessivo di Alan nei confronti dell’amico (ma non è così per tutti gli adolescenti maschi e femmine quando gli ormoni non si sono ancora stabilizzati?) e che sarà più chiaro nella sua stessa dichiarazione di omosessualità a uno dei collaboratori (che si rileverà spia sovietica) e alla stessa Joan Clarke con cui si era fidanzato.
Sarà proprio la sua omosessualità a rovinarlo perché (incredibilmente!) considerata illegale. Turing si troverà costretto a prendere dei farmaci per la “castrazione chimica” in alternativa alla prigione dove non avrebbe avuto modo di lavorare con le sue macchine intelligenti. La situazione per Alan diventerà intollerabile e, all’età di 41 anni, si toglierà la vita. Passerano più di 50 anni per la completa riabilitazione di Alan Turing.