Pubblicato sul manifesto il 20 gennaio 2015 –
Essere o non essere Charlie? Ecco il problema che ci ha appassionato in questi giorni così densi e intensi dopo la strage di Parigi. Paradossalmente, lo slogan rimbalzato in tutto il mondo a difesa della libertà di espressione e della libertà tout court, ha rischiato di trasformarsi in una nuova arma impropria: osi dire di non essere Charlie? Ma allora sei connivente con i terroristi fondamentalisti! Insisti con protervia nell’affermare di essere Charlie? Ma allora sei succube dello sciovinismo occidentale, che considera la sua come l’unica visione giusta del mondo, e la impone a suon di bombe!
Messa così, uno si dispera. Invecchiando però mi scopro sempre più “buonista”. Mi chiedo se anche una tragedia come quella di Parigi può produrre qualcosa di buono e di nuovo.
La cosa buona mi sembra che quel Je suis… esploso globalmente poche oro dopo l’assassinio dei vignettisti di Charlie Hebdo, è stato immediatamente rideclinato in cento modi diversi. Io preferisco essere Ahmed, il poliziotto musulmano ucciso sul marciapiede. No, io sono proprio musulmano. Macchè, sono ebreo. Anzi, sono Erri De Luca, sotto processo per le sue opinioni (per quanto eventualmente discutibili). Io invece preferisco di no e punto (come il vecchio Bartleby: magari vorrei essere lui…).
In questo meccanismo comunicativo, se si è scettici, si può vedere un riflesso ideologico e linguistico della leggerezza dei selfie col telefonino. Se si è ottimisti vi si può scorgere la tendenza di ognuno a identificarsi con altro, un diverso da sé, e diverso anche dal canone identitario che una reazione mainstream, per quanto nobile e fondata, di fatto ti impone. Un altro che si riconosce e con il quale – almeno si spera – si vorrebbe dialogare.
Luciana Castellina ha scritto sul manifesto che qualcosa di simile, una passione e una ricchezza plurale, caratterizzava la grande manifestazione di Parigi. Persino nella presenza dei tanti capi di stato ha visto qualcosa di buono (e una conferma l’ho letta nelle parole nette di Angela Merkel, pur carica di tante responsabilità per la deriva europea, a tutela dei musulmani tedeschi). Altri resoconti hanno messo in luce le assenze e le ambiguità, certo macroscopiche al livello di chi governa il mondo. Tuttavia mi pare che Castellina abbia ragione a porre il problema – schiettamente illuministico – di quale universalismo possa dare senso e futuro a un mondo completamente globalizzato e attraversato da conflitti atroci, che sempre più spesso ci fanno temere di essere sull’orlo di un’altra catastrofe mondiale.
A me sembra che l’altra cosa buona di questo momento è l’emergere da tutte le parti, in tutti i contesti, della differenza dei sessi e della nuova soggettività femminile. Pensate alla lettera di Wolinski alla moglie femminista, o a quella vignetta di Charlie in cui un cattolico, un musulmano e un ebreo, comodamente seduti sul divano, si dichiarano finalmente d’accordo tra loro, posando i piedi sul corpo di una esterrefatta ragazza nuda. O se volete anche alla figura materna tirata in ballo dal papa con la sua provocazione del pugno…
Credo che la radice di un nuovo universalismo stia proprio qui. In una identità che si fonda non sull’appartenenza a una comunità (fosse anche quella dei più anarchici e dissacranti liberi pensatori ), e nemmeno sul proprio solitario cogito, ma sulla relazione con l’altro che è più differente da noi. E quale differenza è più profonda, più necessaria e più universale di quella sessuale?
Partendo da qui forse impareremo a reinventare, anche con Charlie, la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza tradite.