Pubblicato sul manifesto il 9 dicembre 2014 –
Quando ero giovane contro il sistema si voleva lottare per cambiarlo, sovvertirlo, abbatterlo. Il sistema comprendeva un po’ tutto quello che non ci piaceva, che si rifiutava. Il capitalismo, ma anche il “socialismo reale”, specialmente quello sovietico, la famiglia, il conformismo, il nozionismo a scuola, ecc.
Oggi una realtà sistemica sembra essere venuta completamente meno. Certo, sappiamo di subire gli inganni della ragione dominante neoliberale, la quale ci fa credere di godere di una libertà senza limiti e senza legge. Effetto di un sistema molto più subdolo e efficace?
Tuttavia sembrava ragionevole, venerdì scorso nei saloni gremiti del rottamando Cnel, la malinconica analisi di De Rita su una società italiana divisa in tanti recipienti in cui qualcosa pur “sobbolle”, ma del tutto incapaci di comunicare tra loro e di interagire positivamente: di fare sistema , appunto.
Salvo poi leggere domenica sulla prima pagina del Sole 24 ore un commento di Marco Ludovico in cui si osserva come il supposto boss di “mafia capitale”, Massimo Carminati “secondo gli investigatori non si muove in una logica personale, ma di sistema: è la sua capacità di aggregazione, ma anche di pianificare programmi di sviluppo e di affermazione di potere che non può prescindere da una dimensione economica rivelatasi, in realtà, più che strategica”.
Le vie della razionalità capitalistica sono infinite. Già il vecchio Brecht aveva sentenziato sul rapporto tra etica e profitto, osservando che fondare una banca è un crimine più grave – e naturalmente più efficace – che rapinarla. E, sia detto in parentesi, sarebbe interessante leggere qualcosa anche sulla “qualità” dei servizi forniti dalle cooperative incriminate e così abbondantemente foraggiate. Il buon amministratore infatti può anche ignorare, se non direttamente coinvolto, il versante criminale della faccenda, ma non dovrebbe poter nutrire dubbi sul valore di ciò che acquista con denaro pubblico.
Ma possiamo lasciare ai banditi, tali almeno secondo gli inquirenti, la palma dell’unica capacità sistemica che scorgiamo in giro?
Così,spulciando il rapporto del Censis, oltre all’attivismo di quei piccoli imprenditori stranieri che da qualche anno arricchiscono i nostri quartieri di negozi fornitissimi di frutta e verdura in ordinate esposizioni, e di molti altri generi di prima necessità, accessibili ogni giorno e a ogni ora, abbiamo scovato un altro rispettabilissimo soggetto in grado di assolvere utilissimi compiti sistemici.
Si tratta delle persone che i sociologhi definiscono graziosamente longeve. Gli anziani, i vecchi insomma, i nonni se preferiamo esprimerci con affetto. Lungi dal rappresentare, come per lo più si dice, un costo oneroso in termini previdenziali e sanitari per uno stato in cronica crisi fiscale, si rivelano come un mondo di persone che in grande misura, e in modo più o meno sommerso, continuano a lavorare e a produrre. Ma che soprattutto si dedicano altruisticamente alla cura di altri anziani meno autosufficienti, dei nipotini, e anche dei nipotoni cresciuti e senza lavoro. Ridistribuendo notevoli porzioni di reddito e sostenendo l’unico welfare che continua a funzionare e a crescere: quello fai da te, familiare e di quartiere.
Per la verità son cose che vediamo tutti i giorni nelle nostre vite. Ma se lo certifica il Censis forse se ne accorgerà anche qualcuno dei politici che De Rita – facendosi un po’ di autocritica per i tanti anni passati a esaltare le virtù salvifiche della “società civile” – ha esortato a riconquistare un primato di nuovo capace di governare il sistema. Magari staccandosi un po’ dal potere e imparando dalle invenzioni del quotidiano dell’Italia che si arrangia.