Pubblicato sul manifesto il 16 settembre 2014 –
Certe volte – secondo la celebre battuta di Altan – mi vengono delle idee che non condivido. Mi sorprendo a vagheggiare di vivere in una calda e solida monarchia costituzionale, in cui una regina simpatica come Elisabetta II si rivolga ai suoi sudditi, con gentilezza ma con determinazione, per invitarli a “pensare molto bene” a quello che decidono di fare o non fare.
E’ la frase rivolta agli scozzesi che si accingono a votare sull’indipendenza del loro antico paese.
Forse anche noi dovremmo “pensarci bene”. E non solo perché c’è chi dice che anche i problemi dei veneti o dei lombardi sarebbero magicamente risolti se si proclamassero indipendenti.
E’ difficile naturalmente rimuovere il ricordo della catastrofe nella ex Jugoslavia quando diverse comunità prima federate decisero di “andarsene”. O allontanare la paura per una guerra già esplosa e che potrebbe allargarsi e aggravarsi intorno all’indipendenza dell’Ucraina.
Ma la vicenda della Scozia sembra per fortuna andare in una direzione diversa: più che al mito di Braveheart e al clangore delle spade le rivendicazioni impugnate guardano alla difesa dello stato sociale, all’incasso dei proventi del petrolio e del gas di cui il territorio scozzese e ricchissimo. Il premier indipendentista Salmond, intervistato da Repubblica, promette ai suoi concittadini e al mondo che si tratta di aumentare la prosperità, di valorizzare l’indole pacifica degli scozzesi (diversa dalle scelte belliciste di Blair in Iraq…) e cita Adam Smith e la “Ricchezza delle nazioni”. Sembra quasi di ascoltare le analisi storiche di Albert O. Hirschman sulla convenienza di affidarsi agli interessi piuttosto che alle passioni (prima che il capitalismo si trasformasse in un branco di lupi a Wall Street).
Si scoprono poi particolari molto significativi: Le Monde alcuni giorni fa parlava della scelta indipendentista della folta comunità pakistana scozzese. L’integrazione sembra essere avvenuta così felicemente che questi immigrati sfoggiano il kilt nelle loro più tradizionali cerimonie familiari. Non tutte le critiche degli insuccessi del multiculturalismo forse sono fondate?
D’altronde la scelta degli scozzesi è garantita da un regolare referendum dentro un sistema democratico, come quello inglese, abbastanza collaudato.
E poi, dove se ne andrebbero gli scozzesi?
Resterebbero lì dove sono sempre stati ovviamente. E una parte del dibattito ruota sul se e sul come aderiranno all’Europa e magari anche all’euro, nel caso vincessero i sì.
Questo fa pensare che ogni rivendicazione di indipendenza da qualcuno o qualcosa, per essere credibile, e produrre davvero una maggiore e più vera libertà, dovrebbe essere sempre accompagnata dalla chiara consapevolezza che si resta o si diviene comunque dipendenti da qualche cos’altro.
L’Europa così tristemente ossessionata dalla quadratura dei conti pubblici, sembra invece incapace di pensarsi come un nuovo sistema di interdipendenze, una parola cara al vecchio Gorbaciov presto passata di moda.
A rilanciare la centralità della qualità delle relazioni, della cura, e del valore simbolico che può assumere un nuovo spazio materiale e mentale europeo sono due riviste femministe, Via Dogana (il manifesto ne ha parlato il 6 settembre http://ilmanifesto.info/le-relazioni-che-rendono-giustizia-al-mondo/) che dedica un numero agli scritti europei di Simone Weil, e Leggendaria , che registra il dibattito sin qui avvenuto sul testo Dei legami e dei conflitti del gruppo romano del mercoledì.
Altrettante occasioni per discutere anche ciò che evoca la scelta, in un senso o nell’altro, degli scozzesi.