L’articolo è stato pubblicato sul blog www.olimpiabineschi.it
Sera. Arrivo in un piccolissimo paese del sud Punjab: un amico con due mogli e tre figli, molti fratelli e sorelle mi aspetta per presentarmi la famiglia. Arrivo in moto con un altro amico. Dopo dieci minuti lui riceve una telefonata dalla polizia: chiedono chi è la straniera che è entrata a casa sua e perché non sono stati informati del mio arrivo (ragioni di sicurezza, gli stranieri devono essere scortati). Il mio amico cerca di tranquillizzarli: dice loro che vado spesso a trovarli, che dormo nella città vicina, che conosco molto bene la zona. Niente da fare: dobbiamo andare al posto di polizia più vicino. Lui mi rimprovera, mi dice che avrei dovuto usare una automobile così nessuno avrebbe fatto caso a me, che invece quando vado in moto per di più a cavalcioni e non seduta di traverso come le donne fanno qui, iniziano i guai. Sono stanca, perdo un po’ la pazienza.
Lui è preoccupato e mi confessa che sta aspettando ospiti dalla città da cui anche io sono venuta: una famiglia il cui figlio potrebbe essere il promesso sposo di sua sorella. I matrimoni come ho scritto più volte, in Pakistan vengono organizzati dalle famiglie di ogni strato sociale, ricchi o poveri che siano e al momento non c’è verso di cambiare lo statu quo. I matrimoni d’amore si contano sulle dita di una sola mano. La famiglia è già arrivata e io sono l’unica donna a parte l’anziana genitrice autorizzata a incontrarli: le donne di casa devono rimanere nascoste. Un rapido saluto e andiamo a risolvere il “problema sicurezza”. Che non viene risolto per nulla: vero è che dopo lunghe discussioni mi assegnano una scorta (auto e quattro uomini) che deve bivaccare nel giardino di casa del mio amico per tutta la mia permanenza e scortare l’auto del mio amico quando mi riporterà a casa. Certo che sono arrabbiata: la sicurezza nel corso dell’ultimo mese in Pakistan sembra un colabrodo: attentati negli aeroporti, scontri tra polizia e cittadini, perché debbano pensare proprio a me questa volta mi fa davvero inferocire. Inutilmente, aggiungo.
Al ritorno a casa la cena viene servita nel salottino dove gli ospiti pazienti aspettano: due genitori, due fratelli giovani adulti. Il mio amico mi chiede di intrattenerli, mentre l’energia elettrica va e viene e il generatore è così rumoroso che siamo quasi costretti a urlare per parlarci. Sono una straniera, anche se in abiti locali, così le domande fioccano: cosa ne penso della sconfitta dell’Italia ai mondiali di calcio fino a questioni leggere come fornire la mia opinione sulle relazioni tra India e Pakistan!
Nel frattempo sono pur sempre una donna, così aiuto a sparecchiare e ho accesso al resto della casa, dove le signore aspettano curiose qualche anticipazione da me: com’è il candidato sposo? Bello, brutto, simpatico? Faccio del mio meglio, sono sfinita. Il fatto che due persone destinate a stare insieme tutta la vita non possono nemmeno guardarsi in faccia prima del matrimonio (qualche volta si scambiano i numeri di telefono oppure hanno licenza di lanciarsi una furtiva occhiata, se le famiglie sono abbastanza liberal, come amano definirsi qui) mi turba ancora molto. Alla fine della cena il mio amico mi spiega che sarebbe felice se l’operazione andasse in porto: il giovane candidato studia da ingegnere e lui ha una società di costruzioni, proprio quello che servirebbe per gli affari. Non ho niente da aggiungere.
Il giorno dopo sono a tre ore di auto da lì. E’ la tenuta agricola di un altro caro amico, simpatico e colto, una bella famiglia con tre bambine deliziose. A cena marito e moglie mi spiegano felici la loro storia: il padre di lui, così liberal che in seconde nozze a 45 anni ha sposato una ragazza di dodici, ha salvato dall’abbandono la quarta figlia di un cugino davvero desolato per la tragedia di non avere avuto nessun figlio maschio. Così (mi sembrava di essere sul set di un film come “Maleficent”) alla nascita della bambina lui l’ha promessa in sposa al suo primo figlio maschio, cioè il mio amico. Entrambe laureati hanno girato il mondo e studiato; il loro destino non è mai stato nelle loro mani. Anche lì non ho nulla da dire, sorrido beota.
Il fidanzamento pakistano 1.0 resta ancora difficile per me.
Monica Luongo
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