18esimo giorno di digiuno in Pakistan. Che non significa solo non bere e non mangiare per molte ore anche quando fa molto caldo (50 gradi per esempio). Significa anche un mese per meditare, riflettere sul signifcato della propria fede, astenersi dal sesso e dalle effusioni durante il giorno, evitare di parlare d’amore terreno o litigare. Il Ramadan è uno dei pilastri dell’Islam e non entrerò nei dettagli per non incorrere in errori: ma Iftar (or aftar in urdu), il momento della sera in cui il digiuno si spezza e si può finalmente mangiare e bere, è anche occasione di forte socializzazione. Così si va da un party all’altro e molti sono in strada fino all’ora di sohair (circa le tre e mezza), quando uno spuntino veloce e una ultima bevuta riaprono il ramadan.
Non tutti rispettano il digiuno, dipende da come evolvono le comunità rispetto alla secolarizzazione –invero lenta – . In alcune grandi città come Lahore e Islamabad molti non digiunano, altrettanto vero che a karachi e Islamabad non si trova nessuno che mangia.
Cosa succede a chi come me vive in un paese islamico durante il digiuno? Lo scorso anno ho digiunato anche io: trenta giorni trenta senza saltarne nemmeno uno. E’stata una esperienza spirituale, di amore e di integrazione con la comunità. Non lavoravo molto, vero, anzi mi alzavo tardi ma ero a Dubai e il clima era torrido: la persona con cui ero pregava accanto al nostro letto, mi spiegava il senso del kareem, ovvero che per ogni sacrificio che ti viene chiesto sarai ricompensato, raccoglieva nella mano i semi dei miei datteri, che si mangiano come prima cosa per spezzare il digiuno. Più forte di tutte era la sensazione di essere parte di una moltitudine fatta di milioni di persone che nello stesso momento in tutto il mondo seguiva lo stesso rituale di privazione. A dieci giorni dalla fine del ramadan sono tornata in Europa e ho deciso di continuare: ho digiunato con gli egiziani che vendono la frutta vicino alla mia casa, con i lavapiatti delle Comore che lavoravano con mio figlio in Francia: stesso veloce lavaggio del viso, gargarismo, stessa breve preghiera prima di mangiare. Lo scorso anno mi è mancata la festa conclusiva, Eid, ma quest’anno non la perderò: il governo ha annunciato ben quattro giorni di vacanza (causa ponte col fine settimana): obbligatorio portare vestiti nuovi, mangiare a crepapelle, passare da una casa all’altra, fare doni ai bambini.
Quest’anno è diverso: a Lahore, a parte le due persone che curano la casa in cui vivo, nessuna/o di quelli che conosco digiuna, alcuni alla sera bevono volentieri anche un bicchiere di vino bianco. Così non c’è motivo di digiunare, anzi gli amici pakistani mi chiedono: ma come hai fatto l’anno scorso? Un mondo capovolto, un modus di vedere la vita allo specchio. Quindi mangio ma sempre con un senso di grande imbarazzo se sono di fronte a chi digiuna, soprattutto quando si tratta di bere (mentre scrivo sto viaggiando in auto da Islamabad a Lahore e non oso attaccare la fetta di torta alla banana che ho comprato perché ho un autista serissimo che ovviamente digiuna ed è anche vestito in abiti tradizionali visto che è venerdi). E’ lo stesso motivo per cui non entro in una delle nostre chiese se ho un abito senza maniche e non alzo la voce anche se sono in una cappella sconsacrata. Che sia oriente o occidente mi sento irrimediabilmente figlia dei beati anni del castigo.
Ps. Curiosità 1: Peshawar è la capitale della provincia del Khiber Pashtunkwa, detto KP; la popolazione è chiamata pashtu, o anche pathan. Più tribali di altri connazionali, testardi e quasi sempre bellissimi, non iniziano mai il ramadan con il resto del paese, perché i loro imam vedono la luna sempre prima o dopo quelli di Karachi o Rawalpindi. Vengono presi affettuosamente in giro per questo, io dico che sembrano i cubani del Pakistan. Curiosità 2: come si regolano con le ore di digiuno i musulmani che vivono nelle regioni del nord Europa dove il sole non tramonta mai o molto tardi (in Francia, per esempio, lo scorso anno Iftar era alle dieci, pari a 19 ore di digiuno)? Il problema è stato risolto dal mufti del Cairo: non si digiuna mai oltre le 17 ore. Il mio giovane amico-Twitter, ingegnere pakistano che vive in Finlandia, ha twittato il suo rifiuto alle 21 ore di fame e seguirà i tempi dell’Arabia Saudita.
Monica Luongo