Una domanda ricorrente, in questi primi giorni di valutazione del voto europeo, riguarda i sondaggi. Perché, chiedono conduttori e giornalisti vari, c’è stato un errore così plateale di valutazione sulle previsioni relative ai risultati del M5S? Una bella domanda all’apparenza, solo che è mal posta. Quella vera è un’altra: perché è scoppiata la bolla mediatica del sorpasso impossibile? Perché la grancassa sul M5S è andata gonfiandosi via via come una fata Morgana, oltre ogni ragionevole valutazione, attribuendo a Grillo un successo da sballo, che nulla poteva far prevedere: né cifre reali fornite dai sondaggisti, a suffragare le ipotesi, né segnali concreti provenienti dalla società?
Un anno e mezzo fa i segnali erano palpabili e non furono recepiti nella loro portata effettiva. Quest’anno lo erano meno e sono stati moltiplicati. La grancassa, allora, da dove ha tratto alimento? E’ nata così, per caso, per l’intreccio perverso tra il gioco mediatico, assatanato di audience, e l’agitazione visionaria del capo del M5S, assatanato di effetti shock? Oppure è il frutto di un’accurata regia, finalizzata a implementare quel clima di paura che l’invereconda campagna elettorale di Grillo aveva, già di suo, fatto scattare?
In ogni caso il grande circo politico mediatico ha contribuito a far schizzare oltre ogni ragionevole previsione l’avanzata dei nuovi giustizieri del popolo – così si sono voluti infaustamente presentare e rappresentare molti penta stellati – e Matteo Renzi ne ha tratto il massimo vantaggio. Il resto lo hanno fatto la sua abile strategia degli annunci di cose strabilianti, sempre in arrivo, mescolata all’accattivante inclinazione populista del premier. Senza dimenticare, ovviamente, la mossa vincente degli ottanta euro e la capacità mediatica di trasformare negli ultimi giorni la paura in speranza. Un giocatore della politica abile come pochi. Chapeau.
Con quel 40% e passa di voti a Renzi, il sistema politico italiano è radicalmente mutato. Possiamo dire che siamo in un’altra fase della storia nazionale. Il principale partito sopravvissuto alle trasformazioni del passaggio tra la prima e la seconda Repubblica, quello che ancora era in qualche modo segnato in filiere importanti della sua composizione umana da antiche vicende novecentesche, ha infatti subito una definitiva mutazione, che scombinerà il gioco politico più complessivo, il sistema della rappresentanza, gli assetti di poteri. La mappa dei nuovi incarichi e delle nuove nomine pubbliche già parla di suo. La domanda che circola se abbia vinto il Pd o il partito di Renzi è dunque persino banale. Ma di banalità se ne sentono a iosa e se ne sentiranno di ogni tipo, come quella che presenta di partito di Renzi come una rediviva Democrazia Cristiana, come se le cose avvenissero a prescindere dai contesti storico sociali, dalla dimensione antropologica che accompagna i passaggi trasformativi della vicenda umana, dagli apparati di rappresentazione simbolica delle cose, dalle connessioni sentimentali e dalle mediazioni che si producono tra il popolo e i suoi riferimenti pubblici.
Insomma oggi è un altro mondo, che non può trovare risposta in accostamenti superficiali come quello del risultato elettorale. Si dice che solo la Dc arrivò al 49 %. E sembra una spiegazione. Ma i partiti “pigliatutto” (catch-all party) – leggeri e a-ideologici proprio perché “pigliatutto” – rappresentano la trasformazione già novecentesca dei grandi partiti di massa, che erano espressione di contrapposti blocchi di interessi sociali e al massimo ideologizzati, nel clima che fu per lungo tempo rovente della guerra fredda. La categoria del «partito pigliatutto» era stata già elaborata nel 1966 da Otto Kirchheimer, politologo tedesco, collaboratore della Scuola di Francoforte che già allora nei partiti di massa individuava una tendenza al distacco dalle proprie origini classiste o di annacquamento delle proprie ideologie, al fine di allargare il raggio de consenso.
“Prender voti in tutte le direzioni” è da sempre lo slogan di Renzi, e su questo va inventando la forma partito più leggera possibile, sottratta a qualsiasi struttura piramidale, articolata e complessa della tradizione novecentesca. Il che ha in sé ovviamente dei lati postivi, accattivanti, perché potenzialmente suscettibili di permettere nuove strade di più ricca partecipazione democratica e popolare. Ma Renzi ha risolto la questione della forma politica nuova nella pratica antica dell’uomo solo al comando, con smagliante ed entusiasta squadra al seguito e ferrea gestione della propria leadership. Insomma tutto l’opposto della vecchia Dc, partito novecentesco al cento per cento, di massa, pesante, ideologizzato ma con gesuitica flessibilità, contenitore di tutto ma adusato per dna alle mediazioni di ogni tipo, al proprio interno e all’esterno, per occupare il ruolo e lo spazio che le vicende storiche gli avevano attribuito.
Siamo insomma di fronte a un mutamento che già riguardava, col Pd e le avvenute trasformazioni al suo interno, un altro mondo e oggi radicalmente parla di un altro mondo. Forse ancora da capire a fondo, perché intreccia fenomeni del tutto nuovi della contemporaneità, tra cui i nuovi populismi, così uguali, così diversi. A cominciare da quel macrofenomeno che è il grillismo, che è sconfitto solo perché se l’è detto da solo ma continua a essere il secondo partito del Paese.