Un percorso rapido e placido insieme, un reportage, un work in progress. E un invito forte a fare la rivoluzione tramite la parola cura. O meglio a partire proprio dalla cura, ovvero quel di più che le femmine della specie sanno offrire e che è il contrario dell’incuria che ci sovrasta. Cura di sé, degli altri, del pianeta, delle relazioni, del futuro. Il nuovo libro di Letizia Paolozzi, Prenditi cura, è esattamente un viaggio all’interno della cura per dire ciò che è stata e ciò che potrebbe essere se donne e uomini ne facessero una pratica quotidiana di vita, un esercizio di responsabilità, un orizzonte politico. Si ribalterebbero le gerarchie vigenti, se si mettesse al centro di ogni relazione pubblica e privata, la cura.
Niente iconografia del materno, niente obbligo di natura: Letizia, studiosa femminista e giornalista, tiene salda nel cuore la nuova libertà femminile, la considera non negoziabile. “La soggettività femminile ha imparato a fare resistenza”, scrive. “Le donne sono meno disposte a farsi addomesticare dalle ideologie politiche, dagli stereotipi”. Dunque avanti, a eliminare dalla cura non solo il suo essere stata fin qui esclusivo destino femminile, ma anche quella forzata oblatività che ne ha fatto una pratica spesso e giustamente rifiutata dalle donne. Nasce così questo libro dichiaratamente senza dogmi, ”il viaggio di una parola-chiave, sgomitolata con tonalità, colorazioni, vocaboli diversi dialogando con tante donne (e alcuni uomini) in un percorso e in molti spostamenti che mi hanno fatto muovere la mente”. Da Torreglia a Livorno e Reggio Emilia, passando per Milano, Roma e Paestum, sono tante le tappe spese a discutere di lavoro, ambiente, relazioni con le più diverse associazioni e singole/i, naturalmente. Letizia prende appunti, ascolta, dice la sua. Porta in giro l’attenzione, la stessa sollecitudine con cui ha lavorato nel Gruppo del mercoledì insieme con sette altre donne (Bandoli, Boccia, Deiana, Gallucci, Pomeranzi, Sarasini, Stella, Vulterini); hanno scritto un documento – “La cura del vivere” – che è in coda al libro e che è stato pubblicato già nel 2011 sul n° 89 di Leggendaria.
Ne ha fatto di strada, quel documento. Eppure l’autrice ci avverte che il suo lavoro è ancora un laboratorio, anche se una cosa è certa: lo scarto prezioso, “il resto che non si sottomette al mercato”, come si legge nel documento, potrebbe riuscire dove la politica maschile si è sfaldata. Potrebbe mettere in campo una nuova risorsa, visto che la crisi ha sfarinato il confine tra lavoro di produzione e riproduzione, il lavoro si è femminilizzato e precarizzato e la timida, nascente soggettività maschile rivendica per sé il piacere nell’esercizio delle cure paterne e figliali. Partire da sé, usare la pratica del femminismo che mette al centro la vita, può rivelarsi utile “in un tempo nel quale le culture della sinistra ci sono state sfilate come un tappeto da sotto i piedi”.
Se vacilla la legge del padre che fissava le regole, il prendersi cura può diventare una leva per denunciare un’economia che ignora la parte essenziale delle nostre vite. E per scacciare l’incuria, appunto, la trasandatezza o, l’altro lato della medaglia, la competitività spinta, le sfide prometeiche.
Per qualcuna la cura ha la funzione politica del “fare legame”, per un’altra è una “strategia di governo della complessità” o, più semplicemente, un modo per puntare alla manutenzione del già costruito. E cooperando: i cittadini devono potersi scambiare consigli e rendiconti, scrive Paolozzi, per prendersi cura del territorio, delle città, delle persone più vulnerabili. E se Lea Melandri si ribella e mette in guardia tutte noi dal non voler ora “curare la crisi” dopo aver curato figli e mariti, per Daniela Bertelli invece la cura è un patrimonio di sapienza e competenze. Se penso a quanto lavoro c’è dietro ciò che le donne producono (cibo, pulizia, riordino…) mi coglie la frustrazione, spiega Daniela: ma se “sposto lo sguardo dal prodotto al processo, allora capisco che il vero risultato è la rete relazionale”.
La relazione appunto. Quella tra donne e uomini sta mutando e molti uomini, come il libro registra, conoscono e nominano la differenza sessuale. Restano i conflitti e l’eros, territori smisurati ma già visitati. C’è però un punto, scrive vigile Letizia Paolozzi, su cui gli uomini devono ancora dirigere il cono di luce. “La libertà – ha avvertito Hannah Arendt – non equivale alla indipendenza da tutto e tutti. Anzi. Dipendiamo gli uni dagli altri. Eppure, gli uomini faticano ad accettare il nostro (e il loro) essere dipendenti. Da chi ci concepisce, da chi ci dà la mano, ci accudisce, ci ascolta, ci sottrae alla solitudine: insomma non riconoscono l’indispensabilità delle relazioni”.
No, non è il caso di concludere in modo così sconsolato, anche se veritiero. L’autrice è ottimista e ci tiene. Infatti, subito dopo l’impietosa diagnosi sugli uomini, scrive: “la scena, tuttavia, è in movimento”.
Letizia Paolozzi, Prenditi cura, et/al editore, Milano 2013, pagine 80, 9 euro