Pubblicato sul manifesto dell’11 febbraio 2014 –
Negli ultimi tempi ho notato il moltiplicarsi – da parte di persone anche molto distanti per cultura e orientamento politico – di proposte per rafforzare una qualche forma di servizio civile rivolto ai giovani. Ne hanno scritto diversamente Barbara Palombelli e Fulvia Bandoli, Giancarlo Bosetti e Michele Serra. L’idea di un servizio civile europeo si trova nei programmi di Matteo Renzi, ma in questi giorni anche Stefano Fassina e un gruppo della minoranza del Pd propone di legare strettamente servizio civile e politiche per il lavoro giovanile.
Anche a me era venuto in mente qualcosa di simile di fronte all’alluvione che nell’autunno 2011 aveva colpito le Cinque Terre in Liguria: un servizio civile per la cura del territorio, una forma di impegno pubblico e collettivo per garantire quelle opere – come i muretti a secco che sorreggono le coltivazioni a fasce sulle colline – che costruiti e mantenuti per un millennio e più dai contadini, oggi non trovano le condizioni “di mercato” necessarie alla loro conservazione.
Ma ci sono, a mio giudizio, molte altre buone ragioni. Ragazzi e ragazze, dopo la scuola dell’obbligo o dopo l’università, potrebbero essere indotti per un anno a collaborare a grandi progetti per migliorare il paese (riassetto idrogeologico, valorizzazione dei beni culturali, servizi alle persone che ne hanno bisogno) e a trascorrere un periodo all’estero, in Europa ma anche nei paesi vicini del Mediterraneo. Un’esperienza formativa, e insieme un modo di mettere alla prova capacità e professionalità, un tirocinio verso possibili forme di occupazione. Magari legando il servizio al reddito di cittadinanza.
Ai miei tempi la leva militare era obbligatoria: la retorica del contributo alla “difesa della patria” in armi non era molto condivisa, c’era chi si rifiutava come obiettore di coscienza. C’era un movimento di “soldati democratici”. Ma si pensava – almeno in una parte della sinistra – che la leva di massa fosse anche una garanzia contro i rischi autoritari in un esercito solo professionale.
Immagino che l’ipotesi di un servizio civile obbligatorio sia costosa – e in realtà, come denuncia Lucio Palazzini su Sbilanciamoci, in questo momento è drasticamente ridotto lo stesso servizio civile volontario esistente – ma se si volesse davvero investire nei progetti di cui ho accennato, e sul ruolo delle persone più giovani, non dovrebbero esserci spese da considerare impossibili.
Ci sarebbe da fare un grande dibattito su una nuova etica pubblica. Basata sulla cura, sull’apertura al mondo, sulla conoscenza più profonda e diretta dei contesti culturali e sociali in cui si vive. Ma è concepibile, oggi, battersi per avere non solo un riconoscimento, ma anche per contrarre un obbligo verso la collettività?