Pubblicato sul manifesto il 28 gennaio 2014 –
Da tempo mi sono convinto che gli uomini e le donne che vogliono una sinistra e una politica migliori dovrebbero impegnarsi in una azione parallela. I cattivi sentimenti che di nuovo si attorcigliano sul lato sinistro della politica mi ci hanno fatto ripensare.
Il riferimento alla celebre Azione Parallela del romanzo di Musil è naturalmente voluto. Soprattutto, ma ci tornerò, da un punto di vista strategicamente ironico.
I due aspetti paralleli dell’azione – e due parallele, come ci insegnò Aldo Moro, in politica possono convergere anche senza toccarsi mai – sarebbero questi: da un lato una azione, piena di buona volontà, per rendere il più possibile decente la rappresentanza della sinistra nelle istituzioni. Compito arduo quant’altri mai, e che tuttavia andrebbe tentato.
Dall’altro lato un’opera di ricerca, di sperimentazione di altre pratiche politiche e sociali, lasciando perdere – almeno per un po’ – il terreno insidioso e dispersivo del far liste, decidere candidature, stabilire gerarchie ecc.
Questo secondo compito è più arduo del primo: si tratta di trovare la radice e l’anima di una politica che vuole mutare i punti di vista, le credenze e i valori secondo i quali si vive, si lavora, ci si associa in una qualche forma di comunità.
La difficoltà dipende dal clamoroso fallimento delle ricette della sinistra storica. L’occasione è data dal fatto che falliscono anche le ricette – definiamole pure neoliberiste – che hanno vinto. Ma bisogna trovarne di nuove, concentrandosi su ciò che ci accade intorno (in tutto il mondo) e rielaborando il passato oltre ogni rimozione e ogni acritica nostalgia. Ricette riconoscibili dalla maggioranza più larga dei cittadini. Altrimenti rischia di affermarsi qualcosa di orribile (ce ne sono i sintomi: le teste di maiale recapitate agli ebrei a Roma, il pestaggio notturno a sprangate di quattro homeless stranieri a Genova…).
In Parlamento sono rimaste due forze politiche che siedono nell’emiciclo sinistro, Sel e il Pd: chi ne ha voglia cerchi di fare qualcosa di buono lì. Ma dedichiamoci soprattutto al compito più importante. Conoscenza e coscienza – che vengono dal vissuto di azioni e relazioni politiche e sociali – e rappresentazione (quindi informazione), oggi contano più della rappresentanza.
Nel 1926 Musil imbracciava l’ironia non come un “gesto della mia superiorità” ma come “una forma di lotta”. Un’arma per la critica ma anche – dico io – per la leggerezza e il riconoscimento di tutto ciò che c’è di buono in giro. Per poco che sia. E venisse anche dal peggiore avversario.