Sarà vero che la sinistra ha abbandonato gli operai per il matrimonio gay e che scambia la depenalizzazione della cannabis per la difesa delle pensioni? Dobbiamo scegliere tra deficit di beni e deficit di legami solidali?
Su questo terreno assistiamo nel vecchio continente a nuove sfide.
Certo, paese che vai, usanze che trovi. Prendiamo la Francia, in questi giorni al centro dell’attenzione dei media di mezzo mondo (bé hanno anche loro il feuilleton, non soltanto l’Italia di Berlusconi) per via della confusione operata da M. Hollande tra corpo pubblico e corpo privato.
Molti giornali sostengono che questa confusione non rappresenta nulla per i francesi: è un affare strettamente personale, attinente alla vita privata di ogni cittadino.
Dunque, Hollande va giudicato per il suo progetto economico. Punto.
Senza speranze per il futuro, sfiduciati nei confronti delle istituzioni politiche (per caso vi ricorda altre situazioni?), i nostri cugini d’Oltralpe sarebbero indifferenti alle “supposte” (l’aggettivo va aggiunto per dimostrare che prendiamo la questione con serietà, diversamente dai cacciatori di gossip) visite sentimentali del presidente de la République, a cavalcioni su uno scooter (guidato dalla guardia del corpo), con casco totale alla maniera dei motociclisti del “Joe Bar Team”.
In fondo, siamo abituati a osservare l’intimità del/della leader. Anzi, è lui (o lei) a invitarci in camera da letto dove gioca una nidiata di frugoletti in pigiama; nella cucina dove cucina il pollo alle mandorle. In effetti, qui da noi si cominciò assistendo al “risotto” preparato da Massimo D’Alema. Tutto per convincerci che l’uomo politico è un uomo “normale”. Tal quale a noi: donne e uomini.
Comunque, i francesi vogliono crederci. Altri sono i temi e i problemi che li infiammano. E li dividono. Sulla prostituzione, tra “abolizionisti” e partigiani del diritto a fare commercio del proprio corpo. Sul velo, considerato da alcune strumento di una libera dignità femminile e da altre detestato al punto da vietarlo nei luoghi pubblici. Per il matrimonio tra persone dello stesso sesso (c’erano già i Pacs dal ‘99), sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone a favore; una settimana dopo hanno risposto altre centinaia di migliaia contrarie, in difesa delle nozze eterosessuali. Ma, una volta promulgata la legge sul “Mariage pour tous”, tutto si è calmato. “Le Monde” ha aperto la prima pagina (del 15 gennaio) annunciando “Matrimonio gay: rivoluzione tranquilla”. In effetti, città con più di duecentomila abitanti e comuni con meno di duemila abitanti hanno celebrato nel 2013 settemila matrimoni di omosessuali.
Veniamo al nostro paese. Sul legame tra persone dello stesso sesso dalle nostre parti assistiamo a una vera commedia all’italiana. Sì ma fino a un certo punto. Sul matrimonio tra omosessuali dai sondaggi risulta una diffidenza spinta; e sulle adozioni il rifiuto è netto. Dipenderà dalla debolezza dello Stato?
Ora arriva a smuovere le acque il nuovo segretario del Pd. Non sembra tipo da colpi di testa o idee rivoluzionarie ma forse vedranno finalmente la luce patti simili alla normativa tedesca che regola le unioni civili anche tra persone dello stesso sesso, estendendo i diritti in materia contributiva e assistenziale oltre a regolare le successioni. Diritti e doveri di coppie eterosessuali e omosessuali verrebbero equiparati.
Renzi che, per allargare il perimetro di un possibile elettorato, per essere in sintonia con i suoi sostenitori alle primarie, punta molto sulle battute (e via con “il problemino”, “la sorpresina”, “il file Excel”, “Fassina chi?”) piuttosto che sulla qualità del discorso, ha necessità di “portare a casa” risultati su questioni che riguardano la società: depenalizzazione della cannabis, ius soli, l’eliminazione della Bossi-Fini, tagli ai costi della politica non sarebbe poco.
E poi l’Italia deve cambiare. Un episodio come quello della lista regionale per il Piemonte giudicata illegale dopo 4 anni, dimostra che non basta (ammesso che si faccia) una nuova legge elettorale.
Dire che l’Italia non può restare imprigionata nei parametri di Maastricht è giusto. Ma insufficiente. Peraltro in Europa, e non solo in Francia, al progetto di società si guarda in alcuni casi con più coraggio di noi. Non sarebbe male che qualcuno si facesse avanti a proporre un’idea diversa del vivere insieme. Un altro paradigma, un nuovo contratto sociale. E non solo affidato al vincolo taumaturgico della legge.