Ho vissuto una giornata particolare , per me e persino per la storia di questo paese. Una giornata durata un po’ più a lungo del solito: dal pomeriggio di mercoledì 27, quando il Senato ha votato la decadenza di Berlusconi mentre il Cavaliere gridava con voce stanca in piazza al colpo di stato, a questa sera, quando ho visto a confronto in tv i tre candidati alla segreteria del Pd, Renzi, Cuperlo e Civati.
Nel frattempo altre due cose, credo di non minore significato storico: papa Francesco ha pubblicato un documento molto corposo e – mi sembra – appassionato, per la riforma della sua chiesa (Evangelii gaudium). In Germania Angela Merkel e i socialdemocratici hanno raggiunto un accordo di governo: varrebbe la pena di guardarselo bene (anche se sono, ho letto, 150 pagine: ricordate le ironie sull’altrettanto ponderoso programma dell’ultimo governo Prodi?). Ma l’unica cosa indicata dai titoli dei giornali è già di per sé significativa: c’è l’intesa per garantire a tutti un salario minimo di 8 euro e mezzo all’ora. Si ricomincia a parlare del credito e del guadagno di chi lavora, e non del debito finanziario che ci obbliga. (Anche se l’approccio – come scrive tra gli altri Alfiero Grandi – è molto nazionalistico e ben poco europeista)
Sono abbastanza d’accordo con tutti quei commenti – numerosi – che hanno osservato come la decadenza del Cavaliere dal suo posto di senatore non sia ancora la parola fine alla sua parabola. La sua frase più efficace davanti a palazzo Grazioli è stata quella che ha indicato la partita politica che si gioca tra tre uomini tutti fuori del Parlamento: lui, Renzi e Grillo.
Sono anche d’accordo con Letizia, quando scrive che dopo i vent’anni con Berlusconi, una nuova pagina politica è ancora da scrivere.
C’era quel cartello, tra le bandiere di Forza Italia: Berlusconi prigioniero delle Br. Come Aldo Moro! Ho pensato che è proprio da quel tragico epilogo di un’altra ben diversa stagione di “larghe intese” che la politica dei partiti – tra tante convulsioni – non ha saputo scrivere pagine veramente nuove.
Berlusconi, con il suo apparato spettacolare, e gli alleati raccattati dall’emergente Lega, dai post-fascisti e da spezzoni del vecchio centro-sinistra, ha riempito soprattutto col suo corpo e le sue tv un vuoto che non è stato creato dall’attivismo dei magistrati. E’ un vuoto di cultura politica rivelato improvvisamente nell’Italia della Dc, del Psi di Craxi e del Pci dal trauma dell’89. Tangentopoli è arrivata solo dopo. Ed è un vuoto non ancora colmato. Indicativo il gioco delle citazioni nel confronto tra Renzi, Cuperlo e Civati. Da Berlinguer a Don Primo Mazzolari è la storia migliore di un passato. Mentre i diritti civili e le sindache antimafia, pur meritoriamente evocate, non bastano a definire il presente e a indicare un futuro.
Civati ha nominato la “questione maschile”: bisognerebbe chiedersi – non solo presentando anche simpaticamente le proprie scuse per la esclusiva gara monosex – perché sulla scena della politica istituzionale disastrata continuano a stare quasi solamente maschi, a parte le “donne in nero” intorno a Silvio. Forse è giusto così: la crisi della politica – di questa politica – è precisamente una “questione maschile” e tocca ai maschi tentare di risolverla. Prendiamone atto.
Ma non ci si potrà riuscire senza spingere lo sguardo fuori dai recinti istituzionali, uscendo dalla incerta soddisfazione perché “la legge è uguale per tutti”, cosa che peraltro continua a non essere vera, soprattutto per chi sta peggio. Studiamo senza pregiudizi il materiale sotto i nostri occhi: la politica-spettacolo di Berlusconi è anche conoscenza profonda di una parte importante della società, del “pubblico” che consuma i prodotti dell’immaginario. Che non sono tutti solo “oppio dei popoli”. Così come – su un piano ovviamente del tutto diverso – il linguaggio di Francesco cerca di riannodare il rapporto con una comunità disamorata verso le parole e i comportamenti della Chiesa.
Dalla troppo facile polemica contro i “partiti personali” passiamo alla ricerca di pratiche politiche che abbiano a che fare sul serio con la vita e i corpi delle persone. Nel bel film di Ettore Scola che cito nel titolo sono i sentimenti quotidiani di persone qualsiasi a inventare e inverare una alternativa alla retorica e alla violenza di un regime.
E non ci si illuda che le cose sarebbero più semplici se la vicenda giudiziaria del Cavaliere giungesse a esiti ancora più gravi (“E’ fuori, può finire dentro”, titolava ieri gongolando Il Fatto Quotidiano). Combattere contro il suo fantasma potrebbe essere ancora più rischioso.