Fu eletto per la prima volta alla Camera dei deputati nel ’94. Per lui il Parlamento era “un teatrino”. Comunque l’ha frequentato per vent’anni. Convinto che tutto si giocasse nella rappresentanza. E che la politica fuori dall’ombrello delle istituzioni fosse una sorta di minaccia bolscevica.
A Palazzo Madama, non ci ha messo piede il 27 novembre quando è stato espulso dal Senato. Era stato condannato il primo agosto 2013 a quattro anni di reclusione per frode fiscale con sentenza passata in giudicato nel cosiddetto “processo Mediaset”. Da agosto in poi (anche prima s’intende!) ha cercato di evitare la resa dei conti con la giustizia. La giustizia, se la si vuole inverare nella magistratura, lo tampina non da oggi. Adesso lo accusa anche di “inquinamento probatorio” mentre prepara gli appuntamenti di Milano, Napoli, Bari.
Silvio Berlusconi nel suo discorso a via dell’Umiltà ha detto che questo 27 novembre è “un giorno nero per la democrazia”. Sarebbe il giorno della decapitazione. Ma Roma è abituata, anche troppo, alle messinscena. L’ex premier ha scelto toni da vittima e promesse di una campagna elettorale incandescente. “E’ il nostro Mandela”. Le donne che gli sono rimaste fedeli (Bernini, Rossi, Carfagna, Gelmini, Santanché e la fidanzata Francesca Pascale) si sono vestite a lutto.
Quanto agli avversari, orfani del “Caimano”, temono l’ennesimo come-back, una delle rinascite di cui è capace Berlusconi. D’altronde, si lamentano, sta seduto su un impero finanziario enorme e può comunicare a reti unificate! Intanto, il maggiore azionista di un governo senza più larghe intese, il Partito democratico, viene ripetendo che “le sentenze si rispettano”. Che abbia perso, senza Berlusconi, la sua ragione sociale?
Il premier Enrico Letta loda “la coesione” della nuova compagine post-berlusconiana. Ma alla disoccupazione non serve granché. Angelino Alfano ricorda (con una certa esagerazione) che questo governo si tiene su per merito del Nuovo Centro. Tra i falchi-nemici torna di gran moda la parola: Traditore. Intanto, il Presidente della Repubblica promette un passaggio parlamentare per segnare la discontinuità politica tra ieri e oggi, affinché non si aprano altri sbreghi nella tela istituzionale.
Però la soluzione per via giudiziaria non toglie di mezzo un ventennio nel quale è degenerata la fiducia nei rapporti sociali, nel “far bene”, nella cura di sé e delle relazioni. Dimesso Berlusconi manca comunque un progetto e la nuova pagina politica è ancora da scrivere.