Dev’essere un riflesso condizionato, un comportamento compulsivo, un’abitudine inestirpabile dei desk della stampa nostrana: quando si parla di libri scritti da donne, subito si spande un sentore di confetti e la pagina si tinge di un rosa lezioso. I signori (e le signore?) che mettono in pagina i pezzi, coloro che fanno titoli e sommari, ricorrono al repertorio collaudato, anche se poi, leggendo il pezzo, si scopre che i libri trattati sono di buona qualità, di genere magari ma non sempre e non esclusivamente sentimentale. Ancora sabato 26 ottobre, sul supplemento “Tuttolibri” de La stampa, un ampio articolo di Mia Peluso era rubricato sotto l’occhiello “Biblioteca in rosa”: 5 romanzi annegati in una sinfonia di cuoricini in tutta la gamma del colore che identifica il femminile. Quanti lettori (maschi) avranno avuto il coraggio di tuffarsi in quel mare di zucchero? Pochi, prevedo, per esperienza.
Perché lo stereotipo che gli uomini leggono solo i loro simili (tranne poche eccezioni) e invece le donne leggono tutto, ha un solido fondamento che risale addirittura alla nascita del genere romanzo (romance, d’altronde, significa proprio storia amorosa). E non importa che l’amore sia un tema universale che riguarda entrambi i sessi, non conta che molti scrittori recentemente si siano cimentati col genere sfornando best-seller di tema sentimentale, magari adolescenziali, dove la melassa può scorrere a fiumi. Resta la convinzione, nel senso comune, che le donne sanno parlare d’amore, possibilmente di amori a lieto fine. Quando gli scrittori ci si mettono, diventa invece letteratura tout-court: ed ecco comparire il corteo guidato di Madame Bovary, Hester Prynne e Anna Karenina, dove si dimostra che l’amore porta a una fine tutt’altro che lieta. Poi ci sono le felici poche cui viene riconosciuta un’autorevolezza neutra: nella pagina accanto dello stesso “Tuttolibri”, una bella foto di Serena Vitale, “slavista allieva di Ripellino”, “zarina della letteratura”, illustra il suo lavoro su Majakovskij. Siamo nelle zone alte della cultura, niente rosa in vista.
Quanti hanno “rosicato” per l’attribuzione del Premio Nobel ad Alice Munro? Certo per molti sarebbe stato meglio assegnarlo a Philip Roth. Chissà quanti, tra i molti che hanno criticato la scelta di Stoccolma, li hanno letti davvero i racconti della grande scrittrice canadese.