Scrivo quando ancora non si sa come andrà a finire in Parlamento – oggi mercoledì 2 ottobre – e il governo Letta potrebbe vedersi confermata la fiducia grazie a una spaccatura nel Pdl: una storica rivolta contro il padre-padrone Berlusconi.
Ho pensato in questi giorni che forse il Cavaliere, come certi alieni invincibili che nei film di fantascienza invadono la terra, avrebbe finito con l’ estinguersi per mano propria, prima che per effetto definitivo delle sentenze. Per una sorta di intima consunzione. Perché vittima di una sua incoercibile natura. Una fine naturalmente condita da iperboli spettacolari.
Ora gli sguardi sono comprensibilmente puntati su che cosa succederà nel Pdl, molti invocano finalmente la nascita di una “destra normale”, europea, presentabile ecc. E questo è sicuramente uno dei problemi, non da poco, di quel che resta della nostra democrazia rappresentativa.
Di più ci si dovrebbe interrogare sul perché la “malattia” rappresentata da Berlusconi e dal berlusconismo si è estesa, e così a lungo, a tanto vasti tessuti dell’organismo Italia. Soprattutto perché sono stati così deboli gli “anticorpi”. In altre parole: perché le forze politiche che si sono opposte al Cavaliere – dall’estrema sinistra ai settori del centro “moderato” – sono state finora tanto incapaci di averne ragione. Mentre è montata negli ultimi anni la protesta radicale di chi ha smesso di votare o ha votato per Grillo (che voleva e vuole mandare tutti gli altri a casa, ma che paradossalmente ha anche funzionato come obiettivo puntello al ruolo finora centrale del Cav).
In primo luogo si tratta di un problema di troppo debole cultura politica.
Mi ha colpito il contrasto tra i diktat del Berlusconi furioso e le lacrime e la voce rotta del presidente Napolitano mentre ricordava l’amico economista e riformista Spaventa. Riferendosi alla sua vecchiaia Napolitano ha parlato di un mondo che vede scomparire attorno a se. E ne ha rimpianto la capacità di coltivare il rispetto dell’avversario e delle istituzioni, pur nelle più accese contrapposizioni politiche. Lucia Annunziata si è chiesta se non prevalga troppo la “nostalgia” nell’atteggiamento recente del presidente. Anche Mario Tronti (“La sinistra ritrovi l’anima”, sull’Unità di domenica 29 settembre) ha registrato il passaggio, augurandosi che la crisi di questi giorni spinga la sinistra a “allargare lo sguardo”. Una sinistra per lui “svelta a buttar via le idee del passato e altrettanto svelta ad andare a prendere le idee del presente dal vocabolario dell’avversario di classe”. E la nostalgia per un passato di conflitti “di classe” ben più duri, ma di maggiore solidità etica e culturale è ben presente anche in lui.
Cito Napolitano e Tronti perché sono due uomini che stimo, e che sono stati nel Pci a lungo esponenti l’uno della “destra” e l’altro della “sinistra”, per di più “operaista”. Oggi accomunati da una simile forma di nostalgia.
Sì la sinistra – anche nelle sue espressioni migliori – è rimasta troppo prigioniera del passato, per quanto nobile. Berlusconi ha avuto buon gioco perché ha rappresentato non, come troppi dicono, una qualche “innovazione”. Ma, soprattutto grazie alla sua formazione di uomo e imprenditore dello spettacolo, una versione a 360 gradi e policroma della realtà del nostro presente. La mamma e la mafia, la famiglia e le escort a pagamento, la musica e la televisione, la bellezza, anche se non troppo grande, e l’impresa. Il mondo va così, seguitemi e cercate di arrangiarvi e divertirvi. Più di quanto già non abbiate fatto. Tutto il resto è deprecabile, fallimentare, pericoloso “comunismo”.
La sinistra, le sinistre, dovrebbero sapere rappresentare con ancora maggiore forza questo presente, e riconoscervi i soggetti, gli individui e le individue, le forze che vivono e esprimono i desideri di cambiamento, di libertà, di giustizia, di nuovi modi di vivere. Ma non riusciranno mai a farlo se continuano a oscillare tra il vecchio sguardo “classista” e la subalternità alle ideologie “nuoviste”.
Forse sta succedendo anche qualcos’altro. Se Letta passa la fiducia, sarà anche in forza di un nuovo patto tra più giovani politici – come lui – di formazione cattolica, dell’una e dell’altra parte. Potrebbe non essere indifferente il fatto che questo succeda mentre agisce e parla ogni giorno un papa come Francesco. Un papa che critica le ingiustizie del liberismo e il narcisismo dei Capi, che predica una Chiesa dei poveri. E che propone il prossimo appuntamento con il “fondatore” di Repubblica sul ruolo delle donne (“Le ricordo che la Chiesa è femminile”).
Un’altra sfida per la sinistra che non si appoggia alla consolazione e all’illuminazione della fede.