Se Giuliano Ferrara avesse organizzato una manifestazione pubblica sotto lo slogan “siamo tutti puttanieri” non escludo che avrei partecipato. Credo che la vicenda sesso/potere di Silvio Berlusconi per molti versi ci riguardi tutti (noi uomini intendo). Ma al grido “siamo tutti puttane” invece non ci sto.
Ci leggo una nuova strumentalizzazione – a difesa pelosa del Cavaliere – proprio sulla pelle e sul corpo di quelle “Olgettine” che si dice di voler tutelare dagli eccessi di moralismo bacchettone.
Non posso escludere che la Boccassini e le giudici che hanno accusato e condannato Berlusconi siano state mosse anche da moralismi che non mi piacciono. E si possono certo criticare la sentenza e l’andamento del processo. Ciò che mi sembra inammissibile però è che si rimuova completamente l’aspetto penalmente più rilevante della faccenda: la concussione. Cioè il fatto che un presidente del Consiglio sia ripetutamente intervenuto personalmente per indurre funzionari di polizia a lui sottoposti a comportarsi in modo difforme dalla legge. Invocando l’incredibile storia della “nipote di Mubarak”.
E non è un caso – mi sembra – che le giudici del tribunale di Milano abbiano messo l’accento proprio su questo punto, aumentando la pena con l’aggravante di una “costrizione” nei confronti dei funzionari di polizia. (Osservo en passant che se non mi piace la misoginia moralistica contro le “Olgettine” non apprezzo almeno al pari quella contro la “rossa” Boccassini e le giudici “Erinni”).
Lo spiega bene sul Corriere della Sera Luigi Ferrarella, osservando che la sentenza solleva anche un’ipotesi di reato per la versione dei fatti fornita da una dei poliziotti, contraddetta dalla versione della magistrata minorile Fiorillo, la quale sostiene di non avere mai autorizzato il rilascio di Ruby (nelle mani della consigliera regionale Minetti).
La concussione qui non ha nulla a che vedere, se non nell’origine nelle debolezze erotiche – chiamiamole così – di Berlusconi, con il “privato” del Cav, sulla “violazione” del quale si mena da alcuni tanto scandalo. Ha a che fare con il suo massimo ruolo pubblico, quello appunto di premier che rappresenta un intero paese, e non per caso la pena si estende all’interdizione dai pubblici uffici.
Mi piacerebbe chiedere a donne che stimo come Ritanna Armeni, Nicoletta Tiliacos e Elvira Banotti perché nei loro interventi sul Foglio il processo e la sentenza vengono invece ridotti alle sole vicende sessuali “private” (e così anche a Franca Fossati su Europa).
Molti altri commenti si soffermano soprattutto sul significato politico della sentenza Ruby e delle altre vicissitudini giudiziarie di Berlusconi. Per Marcello Sorgi, sulla Stampa, la parabola del Cavaliere è davvero arrivata alla fine. Avrei molto preferito che questo – se in effetti si compirà – fosse il risultato di una battaglia politica vincente, e non dei numerosi processi che inseguono il capo del centrodestra.
Mi è anche capitato di scrivere che se fosse stata davvero possibile una “soluzione politica” della vicenda – tu vai una buona volta in pensione e i giudici ti lasciano in pace – sarebbe forse stato un bene per tutti.
Ma questa possibilità, per quanto desiderata o evocata da molti, non è possibile né giuridicamente né – mi pare – politicamente. E la politica, proprio a cominciare da quella praticata dal Cavaliere e dai suoi (ai miei occhi non meno “colpevoli” del capo) ha fatto di tutto per costringersi in questa prigione.
Compreso l’imprigionamento del Pd e Pdl sulla zattera del governo Letta, la cui navigazione appare sempre più perigliosa, ma anche per il momento senza alternativa. E’ il risultato della somma tra la debolezza culturale e politica degli avversari di Berlusconi e ciò che resta della sua “forza”.
Ho pensato a questa “forza” ascoltando – all’ultimo degli incontri del mese di sociale del Censis sulla “società impersonale” – i commenti di importanti intellettuali “progressisti” come Remo Bodei, Franco Ferrarotti, Giuseppe De Rita. La cosiddetta “società civile” – fino a non molto tempo fa e in altri ambiti esaltata come il bene assoluto – viene rappresentata come “domesticata”, cioè intrappolata in casa e video-dipendente, prossima a degradare da “mucillaggine” a “poltiglia”, in una sorta di abisso di individualismo ignorante e rassegnato di fronte a opinioni giudicate tutte equivalenti. Aleggia una certa nostalgia per il tempo in cui le masse rispondevano più attivamente (e disciplinatamente) alle indicazioni pedagogiche della Dc e del Pci.
Berlusconi, re dello spettacolo, ha opinioni molto meno negative a proposito del suo “pubblico”, e forse questo produce una simpatia, una empatia che lo premia anche elettoralmente, nonostante i gravi e gravissimi sospetti (e più che sospetti) di attitudini criminali che lo circondano. Cittadini, e cittadine (!), che si sentono più riconosciuti/e nei loro individualistici desideri?
Eppure la “società impersonale” dei video-disadattati con le recenti elezioni ha parlato abbastanza chiaro, e non certo a favore dell’uomo di Arcore. Ancora ieri in alcuni comuni della Sicilia. Ferrarotti, a onor del vero, ha chiuso con una dotta citazione da Holderlin, vagamente ottimistica sugli effetti della crisi: “ma là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”.
Bisognerà riparlarne.