Va ringraziata in pubblico, va onorata Ingrid Loyau-Kennett. Donna coraggiosa. È scesa dall’autobus fermato dalla tragedia in corso, a Wolwich, lascia la borsa. Ha visto l’uomo a terra,Lee Rigby, il militare in abiti civili investito con l’auto e poi fatto a pezzi da due uomini, uno si chiama Michael Adebolajo, entrambi sono nati a Londra, figli di immigrati nigeriani.
Lei è andata in soccorso. Si è resa conto che non c’era nulla da fare per quell’uomo ormai morto. Non si è spaventata quando ha visto i due uomini che lo hanno massacrato, le armi che avevano con sé. Ha parlato con loro. Ha chiesto. Cosa vuoi fare. Voglio uccidere di più, le è stato risposto. L’ho guardato negli occhi, ha detto. Non era ubriaco, non era drogato. Era agitato, ma poteva parlare.
Non ha tirato fuori uno smartphone, non ha permesso che l’assassino che brandisce un machete e una mannaia coperti di sangue come lui, diventasse una scena proiettata in tv, tanto simile alle scene splatter viste in tanti film prontamente evocati. Ci vuole una vera sorveglianza interiore per restare al punto, per dirsi: questo è vero. E non passare oltre.
Ho pensato che era meglio che si concentrassero su una sola persona, ha detto al Daily Telegraph.
È grazie a Ingrid Loyau-Kennett, sola a muoversi in quello spazio lasciato vuoto, è per lei che questo fatto atroce può essere guardato. Nell’inumano che viene alla luce, nella ferocia di un conflitto che schiaccia tutti, il soldato ucciso che si sente al sicuro nella città lontano dal terreno di guerra, i suoi assassini che nella guerra lontana si identificano con il nemico.
È per lei, attraverso di lei, che si ritrova un filo. Esile ma forte. Di relazione, di parola, di presenza. Di cura della città, della convivenza.
È riuscita ad allontanarsi, è risalita sull’autobus che si spostava per fare spazio alla polizia. E mentre tutti le dicevano stai giù, stai giù, lei ha visto arrivare l’auto della polizia, sono scesi due poliziotti, un uomo e una donna, sparavano.
Ha guardato bene cosa succedeva nella sua città.
L’intervista di Ingrid Loyau-Kennett al Daily Telegraph
Intervista al Guardian
un commento di Anouchka Grose sul Guardian