Punjab, Pakistan. Alle nove del mattino ci sono già 38 gradi, nella periferia urbana di B. due candidate indipendenti corrono per un seggio provinciale alle prossime elezioni che si terranno il prossimo 11 maggio. Un paese con 180 milioni di abitanti, di cui un terzo aventi diritto al voto è una macchina elettorale che spaventa ma che deve mostrarsi efficace ed efficiente di fronte al mondo, a cinque anni dalla morte di Benazir Buttho e della fine di Musharraf.
Le strade periferiche sono strette e sterrate, le case sono di fango e mattoni, qualche famiglia riesce a tenere una mucca legata al muro di fronte casa. I bambini giocano in mezzo allo sterco degli animali, uno di loro sta succhiando due chiodi fissati su un pezzo di legno. Le candidate hanno in mano un mazzetto di volantini adesivi e bussano a ogni porta: parlano con le donne, nessuno le ha preparate alla politica eppure loro si sono candidate da sole in un paese dove la mano maschilista è ancora dura. Non hanno un manifesto, dicono soltanto alle altre: se votate per me qualcosa cambierà, avrai l’acqua in casa e l’elettricità. Le donne che le ascoltano a volte chiedono soldi in cambio di un voto, altre spiegano che voteranno un partito e non un volto. Che speranze può avere una candidata indipendente in un paese dove alle donne sono assegnati seggi in liste differenziate? Lei spiega che se vince poi si allea con i vincitori, concetto non facile da capire. Altre, più arrabbiate, ne approfittano per dire che nulla è cambiato che nulla cambierà.
Eppure, sotto il sole cocente, le due candidate non si scoraggiano, dietro di loro un giovane fratello che serve a proteggerle dalle rimostranze maschili del quartiere che non gradiscono le signore intraprendenti. Qui non siamo a Islamabad, Karachi, Lahore, siamo in una terra semi desertica, dove la legge vieta alle donne di indossare il burqa eppure molte lo portano anche in città. Qui, dove a fronte della poligamia (la legge consente a ogni uomo un massimo di quattro mogli) le donne si sono battute perché solo poco tempo fa l’adulterio non venisse più considerato reato, così come il sesso praticato tra maggiorenni non sposati. Dove le donne di uno dei partiti islamici lavorano con la minoranza cristiana cattolica e protestante per arrivare al numero maggiore di elettrici possibili. Una di loro, di cui vedo solo gli occhi, è medico, e nelle aree rurali fa porta a porta pregando le donne di rivolgersi a lei se vogliono abortire e di non farlo da sole. No, non è una candidata, ma approfitta del passaggio in auto per la sua personale campagna sulla salute riproduttiva.
La Aurat Foundation (http://www.af.org.pk/), che segue le questioni di genere e parteciperà al monitoraggio elettorale, ha pubblicato un documento che evidenzia I temi caldi delle donne pakistane (povertà, istruzione, salute, violenza), parole che non compaiono nel programma di nessun partito.
Pure il Pakistan ha ratificato le principali convenzioni internazionali contro le discriminazioni femminili, ma ancora la politica non sembra accorgersi che guardare alle elettrici quantomeno significa avere più voti. E’ ancora troppo presto, chissà. Intanto nelle aree rurali è tempo di raccolta di grano: le donne lo tagliano, le donne se lo caricano in spalla, le donne lo ammucchiano sui trattori. Nel deserto del Cholistan (e in molte altre zone remote), in mezzo a splendide rovine archeologiche, gli uomini di casa non spendono soldi per i documenti di identità che servono a votare, oppure danno indicazioni di voto. Qui le donne e gli uomini del Cholistan Congress Council hanno lavorato per portare il numero delle votanti dal 3-5% del 2008 al potenziale 30-35% di quelle a venire, inshallah, a dio piacendo. Hanno usato i programmi radio, il teatro interattivo, hanno parlato e spiegato perché è importante votare a donne che non sono andate a scuola, che diventano spose a 12 anni, che rischiano di abortire se hanno concepito una bambina.
Le guardo, queste combattenti del deserto, e la loro tenacia mi lascia ammirata. Mi regalano una pesante dupatta, lo scialle che copre il capo delle donne pakistane e indiane e avvolge il loro corpo. Sudo, le abbraccio, ci baciamo. Non mollate. Tranquilla, non molliamo.