Amina ha un lungo abito nero che la copre fino ai piedi e un velo che le incornicia il volto, Stacy indossa un abito maculato e una lunga treccia-extension. Entrambe con un sorriso smagliante e più diverse come non si potrebbe, gestiscono con pugno di ferro in guanto di velluto gli uffici amministrativi elettorali dell’intera costa del Kenya, dal confine tanzaniano a quello somalo. Due amministratrici dello Stato di alto livello, che si sono occupate della registrazione dei votanti, del nuovo sistema elettronico di identificazione, dei candidati, dei partiti, politici, delle sedi in cui votare e di tutto il materiale e dei mezzi che servono. E le elezioni sono ancora lontane, il 4 marzo, e preoccupano molti, visti i disordini del 2007; tanto che persino Obama, nato qui, ha inviato un messaggio via youtube, facendo capire chiaramente che saranno i cittadini a decretare il vincitore e non le pressioni dei più forti. Vedremo.
Intanto, in seguito a quelle sciagurate elezioni, il governo ha cambiato la costituzione, dividendo il paese in contee e accontentando con il federalismo locale le molteplici tribu kenyane e i ribelli che si erano rivoltati con grande spargimento di sangue. Naturalmente è cambiata anche la legge elettorale, e così Amina e Stacy e tutte le altre kenyane devono accontentarsi di una lista speciale dedicata alle sole donne in parlamento, bel modo di garantire la quota: così loro nel pollaio stanno tranquille e la lista generale dei candidati resta appannaggio degli uomini. In questo paese più che in altri le contraddizioni lungo il cammino delle donne sono evidenti: liste separate, una sola candidata presidente, Martha Karua, che pur non avendo chances sta conducendo una bella campagna elettorale (ma non è che le donne siano la sua prima preoccupazione). Qui le donne non votano le donne: partecipano in massa alle convention e ai comizi, quelle più povere e analfabete) perché pagate e spinte dai loro uomini. Chi si preoccuperà di loro tra le future elette nella lista separatista? Nessuno – politici, giornalisti, società civile – pensa che le donne verranno elette, è troppo presto forse alle prossime elezioni, dicono. Il paese non è pronto, sic.
Non lo sappiamo certo, gli slogans qui continuano a ripetere che con le donne si vince ma non abbiamo capito ancora perché e come.