L’emancipazione è necessaria ma molto pericolosa perché induce nelle donne a omologarsi ai modelli che il patriarcato ha disegnato per loro: è questo uno degli argomenti che hanno indotto Giulietta Ruggeri a scrivere il suo nuovo saggio Cambiare le parole per cambiare il mondo. Il secondo obiettivo del libro – ricchissimo di dati, tabelle, raffronti e molti ragionamenti – è la speranza, spiega la studiosa, di aver scritto pagine utili alle più giovani per svaporare l’idea diffusa che il femminismo ha fatto il suo tempo dato che avremmo ormai gli stessi diritti e opportunità dei maschi.
Giulietta Ruggeri, genovese riservata e colta, prima della pensione era ricercatrice all’Università di Genova. Impegnata nel femminismo dai primi anni Settanta, è un punto di riferimento per molte e molti. Appassionata di linguaggio e di partecipazione femminile alla politica, ha creato e presieduto nel corso degli anni varie associazioni femministe e ha lavorato anche sul campo partecipando a ricerche (nate da progetti europei e ministeriali) sulle Pari opportunità, sull’organizzazione del lavoro e sugli stereotipi di genere nella scuola, temi che in questo libro sono tutti rielaborati con originalità.
Nel ripercorrere con rapida chiarezza le tappe del movimento delle donne e del femminismo italiano dal dopoguerra fino a Se non ora quando? e agli altri gruppi odierni, Giulietta in Cambiare le parole per cambiare il mondo enumera anche nei propri brevi ma corposi capitoli le leggi italiane modificate dal femminismo. Sono tante: il divorzio nel ‘74, il nuovo diritto di famiglia nel ’75, la violenza sessuale che diventa reato contro la persona solo nel ’96, fino all’ultima normativa europea che di recente ha imposto persino in Italia il 20 per cento di donne nei consigli d’amministrazione delle aziende pubbliche.
Già questo sarebbe abbastanza per desiderare di avere il libro tutto per sé, anche perché ha una bibliografia esaustiva da studiosa assidua. In realtà Ruggeri scrive anche di maternità, lavoro di cura, istruzione, femminicidio, precariato e disoccupazione. E naturalmente disserta sulle pratiche e le teorie del femminismo. Le sta chiaramente a cuore il tema della differenza tra i due generi che le pare tuttora valida per interpretare il mondo. «Io vedo predominante nella differenza tra i due sessi quella che Adriana Cavarero definisce la potenza generativa materna. Poi naturalmente possiamo ragionare sulla disfatta dei generi come fa Judith Butler, ma per me è centrale riconoscere valore alla potenza generativa materna che tuttora è un imprevisto nell’organizzazione sociale del lavoro e della politica».
A partire proprio dal caso Genova (che ha studiato per anni) spiega uno dei temi che oggi la sollecitano e che l’ha, appunto, spinta a scrivere di nuovo. «L’emancipazionismo porta paradossalmente le donne all’omologazione, all’adeguamento al modello femminile disegnato dai maschi. Genova, a mio parere, rappresenta un caso particolare di forte emancipazione femminile che talvolta non permette di percepire neanche più le discriminazioni di genere. Lo dimostra il fatto, ad esempio, che le genovesi da me intervistate per Abacus nel 2006 risultavano essere meno sensibili di tante altre italiane alla presenza di donne in politica. Il mio dubbio è insomma che la maggiore emancipazione delle donne di Genova, città industriale di bassa natalità fin dalla fine dell’800, le abbia portate alla concezione che se siamo uguali agli uomini, che importanza ha se ci sono più donne in politica? Esattamente questa frase l’ha pronunciata – e la riporto nel libro – una liceale in uno dei tanti incontri che ho fatto nelle scuole di ogni ordine e grado. Cito un altro esempio: le imprenditrici, secondo una ricerca del Cna ligure nel 2011, neppure si accorgono di essere discriminate dalle banche per il credito loro concesso». Vuol dire che non si accorgono che le banche, in sostanza, hanno meno fiducia in loro?
«Esattamente. Insomma ho messo in fila osservazioni e dati e chiedo aiuto alle sociologhe perché indaghino ancora a fondo».
Il secondo obiettivo di Ruggeri era che questo suo libro fosse una utile memoria per le più giovani, ma anche un avvertimento per convincerle a non considerare il femminismo un vecchio arnese inutilizzabile. Tanto che cita i calcoli della demografa del Cnr Rossella Palomba, secondo cui procedendo al ritmo attuale, la piena parità arriverebbe nel 2601 (!). «Ci si lascia sviare dall’idea che a questo punto abbiamo medesimi diritti e opportunità dei maschi. Eppure basta guardare alla maternità: è clamoroso l’alto numero di donne che lascia il lavoro già al primo figlio. Per non parlare dei compensi tuttora più bassi, delle mancate promozioni, dei vertici occupati dai maschi persino dove le lavoratrici sono in maggioranza schaicciante”.
Un’altra sua passione politica è la lingua, alla quale dedica ovviamente un’altra parte del volume. «Con facilità diciamo contadina, bidella e operaia ma suona male a tanti, guarda caso, ministra, direttora e sindaca… Significa che la lingua è sessista e noi ne minimizziamo tuttora la portata. Il linguaggio che si usa è fondamentale per una comprensione del rapporto tra i sessi e, dunque, anche per capire il fenomeno della violenza di genere».
In chiusura affronta il delicato snodo dei rapporti tra donne e l’invidia. «Io sono convinta che gli uomini usino l’invidia per arrivare a battere l’invidiato. Le donne invece sono vittime dell’invidia e tentano di abbassare il livello dell’invidiata, di svilirla». Perché non combattiamo anche noi per emulare l’invidiata? «Una spiegazione viene dal clima misogino in cui cresciamo che ci porta a disprezzare le altre e spesso anche noi stesse. E inoltre l’uomo ci ha sempre divise considerandoci oggetti interscambiabili e noi non siamo ancora uscite del tutto da questo modello».
Ma Ruggeri conclude il libro scrivendo che le donne non sono vittime. E ci tiene a ribadirlo. «Non siamo, come nel ritratto del Censis, solo violate e discriminate. La libertà femminile è sempre più diffusa e devono farci i conti anche gli uomini destinati, a loro volta, a ridisegnare la propria libertà. Molte donne coraggiose in tutto il mondo denunciano discriminazioni e persecuzioni. Credo in sostanza che le pari opportunità siano superate: le si intende come politiche per tutti i soggetti “deboli”, ma noi, appunto, non siamo soggetti deboli. Sono favorevole piuttosto alle politiche di genere che liberino da ruoli e stereotipi sia le donne che gli uomini tutti per consentire un nuovo patto tra i sessi ».
Giulietta Ruggeri Cambiare le parole per cambiare il mondo. Pari opportunità punto e a capo, uno studio del caso Genova Liberodiscrivere edizioni, Genova 2012, 175 pagine, 14 euro