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Nei vapori dell’autocoscienza maschile

29 Gennaio 2013
di Massimo Michele Greco

«Sono cinquant’anni che lavo questa schiena», dice l’anziano marito
alla moglie massaggiandole il dorso e versandole addosso con cura e
semplicità dell’acqua da un catino, al termine di una pacata seduta in
una sauna che sembra domestica. E’ l’unico corpo femminile che si vede
nel documentario Miesten vuoro (I vapori della vita, 2010) di Joonas
Berghäll e Mika Hotakainen, visto a Roma alla Casa del Cinema,
nell’ambito della Rassegna “Il mese del documentario” curata
dall’Associazione Documentaristi Italiani.
E se non sbaglio, è l’unica interazione eterosessuata, anche se di
donne gli uomini parleranno. Il resto mette in scena corpi di uomini
finlandesi dalle proporzioni raramente canoniche ma del tutto
quotidiane che fanno la sauna, con il contrappunto di scene naturali di
terrificante ampiezza e bellezza. Questi corpi maschili si raccontano
dentro saune vere e proprie, ma anche all’interno di roulotte,
trattori, macchine arrangiate con il minimo per trasformarle in sauna:
stufetta con pietre roventi, catino e bacinella d’acqua. Persino una
cabina telefonica può diventare una sauna.
Affrontano l’emozione di uno svelamento coraggioso su temi come la
paternità, la relazione con la donna, il coraggio e la debolezza, il
dolore dell’assenza e della solitudine, la violenza, la caduta ed il
riscatto, l’importanza di un’amicizia con un orso persino.
Corpi che stanno uno accanto all’altro, gomito a gomito e che a volte
si prendono cura l’uno dell’altro, ma sicuramente sono colti nel
momento della condivisione di storie di vita personale.
Immaginarmi parte ed attore di una tale pratica di confidenza
corporea e autobiografica mi sembra un elemento di impagabile civiltà,
che mi sembra manchi nella cultura italiana. Ho anche commentato con
gli amici con cui sono andato a vedere il film, che mi sembrava un
popolo molto avanzato questo finlandese, che era riuscito a fare un
documentario con uomini che si lasciano riprendere nudi mentre fanno
autocoscienza su temi di delicatissima vulnerabilità. Infine, ho ancora
l’impressione di aver assistito a qualcosa che si articolava con un
senso dell’umorismo completamente diverso dal mio, ma la cui presenza
era ipotizzabile da alcuni accostamenti che non potevano che essere
ironici.
In certi momenti ho pensato che disgusto, oppure giudizio, oppure
desiderio, fosse solo negli occhi di chi guardava (me compreso) un
tale spettacolo di intimità maschile. Gli uomini ritratti nel
documentario sembravano mostrare solo presenza, ascolto, cura di sè e
dell’altro.

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