Che cosa succede se a parlare di violenza sulle donne sono gli uomini? Se a occupare la scena non sono donne che parlano in nome delle vittime, ma uomini che si interrogano sui crimini commessi dai loro simili?
Riccardo Iacona, il giornalista televisivo conduttore di Presa diretta su Raitre, autore di “Se questi sono gli uomini. Italia 2012. La strage silenziosa delle donne” (Chiarelettere, 258 pagine, 13,90 euro), non ha dubbi: «Ho scritto questo libro perché mi sono reso conto che bisognava tirare fuori dalla cronaca la storia di queste donne. La cronaca spiega tutto con la passione, il romanzetto dell’amore deluso. Spiegazioni che non dicono nulla, anzi ingannano». È stato il mestiere affinato in tante inchieste a guidare Iacona a guardare con occhi diversi gli “amori criminali”: «È come con la mafia. Quando ero agli inizi del mio lavoro, ai tempi di Samarcanda con Michele Santoro, la parola mafia non si poteva pronunciare, era come se non esistesse. Per questi delitti contro le donne ho usato gli stessi strumenti. La cosa più sorprendente è stata constatare che sono tutti uguali, che è sempre la stessa storia. Uomini che non accettano un abbandono, che non tollerano che la loro donna li lasci. Siano poveri o ricchi, giovani o vecchi. Bisogna chiamare le cose con il loro nome. È una violenza di genere, maschile. Insomma, gli uomini sono i protagonisti negativi di queste storie». Ecco cosa succede se a parlare di violenza sulle donne è un uomo. Che si trova a parlare di sé: «Io non ho mai colpito una donna. Eppure se ascolto quello che dicono i “maltrattanti”, i pochi che parlano e che riporto nel libro, trovo qualcosa che conosco, che tutti gli uomini, se sono onesti con se stessi, conoscono bene. Quando tra uomo e donna c’è lite, conflitto, lei può farti a pezzi con le parole. E tu ti senti disarmato. Allora urli».
Riccardo Iacona è tra i primi giornalisti italiani a rompere quel muro di cui ha parlato Iaia Caputo nel suo bel libro Il silenzio degli uomini (Feltrinelli, 207 pagine,16 euro), dove commenta la tentazione degli uomini di tenersi alla larga dal profilarsi di un’inquietante “questione maschile”: «Meglio, molto meglio appassionarsi alla prossima vittima, entrare a far parte del set a cielo aperto del futuro delitto, e fingere di indignarsi, e scandalizzarsi, di temere l’orco e compiangere un’innocente …Perché tanto più riusciremo a credere che i mostri sono altrove, tanto più possiamo stargli vicino, a un passo dai loro cuori di tenebra, a un soffio dal sangue, dalla paura e dal dolore, e continuare a illuderci che noi, comunque, siamo salvi».
A dire il vero da alcuni anni uomini che parlano di sé, anche in relazione alla violenza sulle donne, si sono riuniti un’associazione che si chiama “MaschilePlurale”, Alberto Leiss, uno dei fondatori, insieme, tra gli altri, a Stefano Ciccone e Marco Deriu, è molto chiaro: «Nessun uomo si può chiamare fuori, altrimenti si rischia di essere edificanti. C’è nella sessualità maschile qualcosa che riguarda alla radice la violenza. Non solo la violenza sulle donne. Anche la violenza politica, la violenza bellica hanno un segno maschile». Alberto Leiss era ieri a Milano per “Le parole non bastano. Donne e uomini contro la violenza maschile sulle donne” un convegno organizzato dalla Casa delle donne maltrattate insieme a Maschile Plurale, inaugurato dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
«L’obiettivo» spiega Leiss «è sviluppare le relazioni tra donne e uomini, proprio confrontandosi sulla violenza maschile». Una strada innovativa, che va oltre l’approccio tecnico dei servizi da fornire, e sicuramente molto diverso dalla strada dell’allarme sociale, dell’emergenza. C’è una cultura da cambiare. Ne è convinto Riccardo Iacona: «Vorrei proprio non essere più solo, tra i miei colleghi. I fatti sono lì, sotto gli occhi di tutti. Eppure si finisce sempre nella cronachetta, che rimuove le cause. Per non parlare dei blog, pieni di quelli che io li chiamo “negazionisti”, che scrivono cose terribili contro le donne. Chiamano in causa le separazioni, i giudici. Il problema è sempre lo stesso. Non accettare che la “tua” donna sia libera, libera anche di lasciarti».
pubblicato sul Secolo XIX il 23/11/2012