Ho scritto un intervento sul tema della “rottamazione” e della “generazione fallita” per il sito www.maestraleonline.it, che riproduco anche qui sotto. Oltre ai riferimenti contenuti nel testo segnalo anche il nuovo articolo di ieri – 23 ottobre – sul Foglio, con un interessante testimonianza di Marco Tarchi, intellettuale di destra che dice cose non banali sulla sinistra e i movimenti degli anni ’70.
Il successo mediatico della parola “rottamazione” è legato a un tema non nuovo, rilanciato in questi giorni. Chi ha più di 60 anni e ha potere politico farebbe bene a andarsene perché appartiene a una generazione che ha fallito. C’è una frase di Fabio Mussi, intervistato dal quotidiano “Pubblico”: l’ha ripresa il Foglio, che ha aperto un’inchiesta di Nicoletta Tiliacos. Nella prima puntata parla l’editorialista del Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia, il quale sostanzialmente ammette il fallimento della sua-nostra (chi scrive è nato nel 1950) generazione. Afferma tra l’altro: “Mentre venivano fatte, tra gli anni Settanta e Ottanta, le leggi che poi avrebbero portato alla situazione attuale su pensioni, sanità, regioni, nessuno di noi ha capito e tantomeno detto che sarebbero state scelte rovinose”.
Dietro questa analisi c’è anche la condanna dei movimenti di contestazione che nel ’68 e negli anni successivi hanno segnato la realtà italiana. Ma dire “fallimento di una generazione” rischia di offuscare, in una nebbia in cui tutti i gatti sono grigi, una critica che invece sarebbe necessario svolgere in modo approfondito per reagire alla crisi della politica.
Il sistema politico italiano, ancora dominato da Dc, Pci e Psi, proprio raccogliendo almeno in parte la spinta dei movimenti degli anni ’70, ha fatto le uniche grandi riforme decenti della storia recente del paese. Leggi sul divorzio e l’aborto, la riforma del diritto di famiglia, il sistema sanitario nazionale (che con tutti i suoi costi e le sue magagne resta uno dei migliori al mondo), lo statuto dei lavoratori, e la stessa attuazione delle regioni (una giusta prescrizione costituzionale: altro discorso sono le attuali degenerazioni e le chiacchiere sul federalismo).
Ma anche il ’68 e gli anni ’70 sono stati tante cose diverse. Una minoranza estremista ha prodotto la tragedia del terrorismo. Ma la maggioranza di quei giovani – studenti, operai – hanno cambiato il costume e volevano una società più libera e aperta. In quegli anni nasce un movimento femminile e femminista che inventa un’altra politica, che ha cambiato le nostre vite e si rinnova ancora oggi, come dimostra il migliaio di donne, di tutte le età, che si è ritrovata all’inizio di ottobre a Paestum.
Hanno fallito diverse generazioni, e diverse culture e forze politiche, che negli anni hanno messo un tappo a questi moti di liberazione e cambiamento (compresa la sordità del vecchio Pci). Anche di fronte al terremoto dell’89. Andreotti, Forlani e Craxi non erano “sessantottini”. Così come hanno fallito quanti hanno pensato che Berlusconi annunciasse una “seconda repubblica” migliore della “prima”, e che fosse sufficiente una legge elettorale maggioritaria per rinnovare il sistema. Stanno fallendo i media abbagliati dal “palazzo” e che oggi vedono solo il fallimento della “casta”.
Non voglio dire che i sessantenni della sinistra non abbiano le loro responsabilità. Anche la sinistra ha partecipato a una crescita abnorme del debito pubblico, con vantaggi sociali non commensurabili ai guasti prodotti. Ha permesso e persino incoraggiato una precarizzazione del lavoro insostenibile, questa sì motivo di un fondato risentimento generazionale. E la “svolta” che ha messo fine al Pci non ha ancora prodotto, dopo più di vent’anni, una sinistra più riconoscibile.
Ma il ripetersi, in forme sempre più povere, delle lotte generazionali nei partiti – ne ha parlato sul Corriere Paolo Franchi – non spiega tutto. Anche perché ne viene rimosso il tratto principale: è una questione squisitamente maschile. La “rottamazione” – ha scritto Letizia Paolozzi su DeA – svela il meccanismo da molto tempo inceppato nella produzione e nel riconoscimento di autorità maschile. Così come è rivelatrice l’accusa di Grillo a Renzi a proposito dell’”invidia penis”: lo ha osservato un’altra donna, Ritanna Armeni, sull’ Huffington Post.