Ieri sono stata a Paestum. Non avevo sbagliato data. Volevo, come spesso mi capita, guardare la bellezza ostentata dalle linee dei tre templi dorici, attraversare le sale del Museo diretto dalla mia amica Marina Cipriani, irritarmi per l’invadenza arrogante dei souvenir senza senso, trovare un filo capace di trasformare la conoscenza dei luoghi che ho (sono nata e vivo a Castellabate ), in una piccola guida per tutte quelle che verranno il 5 il 6 e il 7 ottobre.
Una guida che aiuti chi viene , magari per la prima volta, in uno dei luoghi più “silenziosi” e, quindi, più suggestivi del Mediterraneo. Quasi nulle le tracce scritte di un’esperienza di città che affida la sua memoria ai vasi, ai gioielli, alle suppellettili che seguono e testimoniano l’incedere dei secoli e il succedersi dei vincitori nel governo e nelle abitudini, Alla straordinaria intensità delle pietre tombali ordinate in una struggente pinacoteca che mostra scolpita nelle lastre di pietra, l’antica differenza originaria fra uomini e donne. Il confine tra il domestico e il pubblico. Il potere e la tenerezza.
Alle spalle dei templi sul limite di una montagna che li avvolge e protegge, la chiesa dedicata alla Madonna del Granato. Erede diretta di Hera , dei suoi simboli come dei suoi compiti protettivi. A sud Agropoli, forse prima tappa di quei greci che incantati scoprirono luoghi, colori, profumi che sembravano ripetere luoghi, colori e profumi delle terre che avevano lasciato divorati dal desiderio di potenza.
Poi il Cilento diviso fra costa e interno Fra un mare straordinario, nonostante le aggressioni, nonostante la mortificazione quotidiana che subisce, e i paesi che seguono i fiumi, conservano (sempre meno) tradizioni, connotano il grande parco nazionale.
Una terra antica democratica e reazionaria, povera riserva per anni (fino alla seconda metà del ‘900) di emigranti che raggiungevano fratelli, zii, amici prima in America e, poi, nel nord Europa. Braccianti e pastori che imparavano lingue straniere dimenticando spesso chi avevano lasciato (mogli, figli, genitori).
Donne bellissime e longeve (il numero delle ultracentenarie connota quest’area ) coltivavano affetti e orti educavano, sostenevano. Imparavano e trasmettevano usi e culture spesso pensate per escluderle e tenerle a bada.
Povertà e modernità, dignità e sofferenza, si sono intrecciate in un’edizione che ha visto affermarsi insidiosa, l’era dei geometri, dell’alluminio anodizzato, di antichi palazzi abbandonati da una piccola borghesia con pretese nobiliari scellerata e complice di uno sviluppo che avvilisce con i suoi effetti perversi bellezza e storia.
Questo è il Cilento che Paestum introduce. Sud pieno di contraddizioni simile e differente a tanti altri luoghi. Sud che accoglie le donne di “primum vivere” offrendo loro esempi di stili di vita, abitudini, declinazioni politiche, consapevolezza, silenzi omologati, desideri di mutamenti radicali. Forse non c’è tempo per un reale scambio con chi questa terra abita ma, certamente, non va persa l’occasione di uno sguardo che non dimentichi o non veda i chiari e gli scuri nelle loro sintesi precarie. Chiari e scuri. Come la vita.