La discussione sul matrimonio tra omosessuali e non, riaperta su DeA da Letizia Paolozzi mi ha fatto ripensare all’ultima intervista di Jacques Derrida, apparsa su Le Monde poco tempo prima della sua morte, avvenuta nell’ ottobre del 2004. C’è una lunga risposta del filosofo a una domanda sulla possibilità di declinare un “noi Europei”. Derrida chiede a un certo punto di aprire una parentesi – ma molto consistente – in cui proprio a proposito del dibattito aperto allora anche in Francia sui matrimoni tra omosessuali sostiene una tesi molto netta: se fossi un legislatore – dice – proporrei semplicemente di far scomparire la parola e il concetto di “matrimonio” da un codice civile e laico. Lo stato non dovrebbe assumere come proprio un istituto religioso e sacro, che appartiene nel caso europeo alla religione cristiana, ma riconoscere solo “unioni civili” di carattere contrattuale, senza imporre norme sulle relazioni tra i sessi. Ciò non toglie il valore simbolico grande, rispettabilissimo, delle scelte che le persone vogliano compiere legandosi in “matrimonio” di fronte a un’autorità religiosa, o altra fonte di riconoscimento. Ma senza commistioni con lo stato.
Mi era parso allora, e ne sono tanto più convinto oggi, che una scelta di questo tipo avrebbe una valore enorme nel disegnare un altro modello di Europa. Derrida era perfettamente consapevole che si trattava – e si tratta – di una “utopia”. Inserita dentro un’idea di Europa radicalmente diversa da quella determinata dalla legge del mercato neoliberista, oggi in drammatica crisi. Un’Europa capace di emanciparsi dalle colpe della propria storia – guerre di religione, totalitarismi, colonialismi, eurocentrismo – per offrire al mondo globalizzato un’altra concezione e un’altra pratica della politica e della società. Aperta e plurale. E più giusta.
Faccio una fantasia. Se in Italia una Chiesa cattolica in verticale caduta di credibilità, e in cerca di nuove abbastanza improbabili sponde politiche, decidesse un gesto senza precedenti: rinunciasse ai vantaggi dei suoi legami con lo stato, e si proponesse di riconquistare autorità ripartendo da una vita sociale e spirituale senza potere, questo non sarebbe un vantaggio per chi nutre una fede religiosa genuina?
E un’altra fantasia. Le culture laiche dovrebbero riconoscere che non ha senso scrivere parole sull’Europa, con intenzioni “costituenti”, senza nominare il ruolo fondamentale che la religione cristiana ha avuto nella sua storia e conserva nel suo presente. Naturalmente insieme a altre culture costitutive della civiltà europea: ebraismo, illuminismo, liberalismo, socialismo, comunismo, femminismo, islamismo…
E soprattutto la capacità di coltivare un conflitto autocritico, la consapevolezza che nessuno ha verità assolute da imporre agli altri. E nemmeno a se stessi. Quella intervista era titolata su una frase chiave del filosofo: Je suis en guerre contre moi-meme. Sono in guerra contro me stesso. Avrò pace solo con la morte, solo così posso vivere e “imparare a vivere”.
E solo da questa comune guerra interiore può riemergere un decente “noi Europei”.