Sono grata a Luciana Viviani. Lo sono per un motivo comune a molte, cioè per il suo lavoro politico con le donne. Ma lo sono anche per un motivo più personale. Privato. Per qualcosa che riguarda la sua attività di scrittrice.
Nel 1994, a settantasei anni, Luciana pubblicò un piccolo, delizioso libro di memorie politiche che fu molto letto e molto amato. Uscì per l’editore Giunti, nella mitica collana Astrea dedicata alle donne (un’importante iniziativa editoriale purtroppo finita da tempo, come tante altre). Il libro aveva un titolo evocativo: Rosso Antico. Ma il sottotitolo precisava, in rima: “Come lottare per il comunismo senza perdere il senso dell’umorismo”. In quattordici episodi Luciana metteva in scena le sue esperienze di vita nel partito comunista. E lo faceva con intelligenza, libertà e ironia. Tantissima ironia. Perché, come diceva lei, “si deve amare tutto, ma niente ci deve incatenare”.
Qualche anno più tardi, nella stessa collana, apparve un altro libro di memorie: Le viceregine di Napoli. Questa volta, però, Luciana aveva scelto un registro più intimo. L’ironia era sempre quella. Tagliente. Scatenata. Ma le protagoniste del racconto adesso erano le donne della sua famiglia. Donne indomabili, eccessive, animatrici di guerre domestiche condotte con rabbia e determinazione. Luciana le racconta così, rivali e complici. Narra le loro trasgressioni, le stravaganze, l’anticonformismo, i rituali arcaici e i gesti d’amore. Pagine in cui Luciana rivela un talento naturale, assai simile a quello di suo padre, il famoso Raffaele Viviani. Commediografo e attore. Un uomo che nelle sue opere dipingeva creature vive, non semplici figure letterarie.
In conclusione, il libro mi sembrò un autentico gioiello narrativo e, di conseguenza, lo regalai a mia madre. A quel tempo, ero sempre alla ricerca di libri che potessero piacerle. Mia madre aveva la stessa età di Luciana ed era una lettrice accanita, infaticabile. E’ stata lei a inocularmi la ‘tossina’ della letteratura, la passione per i romanzi e la poesia. Ma in quegli anni, i suoi ultimi, non trovava più libri che la coinvolgessero davvero e questo l’addolorava, come per una perdita irreparabile. Così le regalai “Le viceregine di Napoli”. Una settimana più tardi, mi telefonò. “Ah, quanto mi ha fatto ridere!”, disse.
Aveva riso leggendo le imprese di Mariuccia, la gelosissima nonna-chioccia che sputa sulla bara dello zio prete, colpevole di aver diseredato la famiglia. Aveva riso di Serafina, detta Fafina, la suocera perbenista e vendicativa. Insomma, si era divertita. Finalmente si era appassionata e, per soprammercato, si era identificata in quelle battaglie femminili. In quelle storie che erano come un dono. Un regalo prezioso e imprevisto.
E anche per questa felicità di mia madre oggi io ti dico grazie, Luciana.