L’andamento del voto in Europa e in Italia, pur con tutti gli elementi drammatici che evidenzia, il diffondersi sempre più largo di un senso comune – anche in ambienti del tutto inseriti nell’establishment del potere economico e politico – che le cose non possono più andare avanti in questo modo, da noi e nel mondo, mi hanno indotto a pensare-sentire di non aver sbagliato, tempo fa, a azzardare il giudizio: con la crisi – questa crisi e in questo tempo – aumenta la “confusione sotto il cielo” e la situazione “è eccellente”.
Ma, anche per il fatto di essere genovese, a riproporre questo pensiero-sensazione mi ha fatto poi esitare il riaffacciarsi della violenza terroristica, proprio nella mia città, che dalla nascita delle Br fino alla “macelleria” del G8 2001 è stata un luogo simbolico centrale del ruolo nefasto della violenza politica (tale giudico, pur con le dovute distinzioni, quella esercitata allora dalle forze di polizia dello stato). Una prospettiva inquietante.
Tuttavia due cose mi hanno rimotivato. Una discussione a cui ho partecipato a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, sul tema della “cura del vivere”. E il testo, che ho appena letto, di Luisa Muraro sulla violenza (“Dio è violent”, edito da nottetempo).
Su questo testo, che in realtà dice tanto sull’esigenza di una politica radicalmente diversa, mi auguro che si discuterà molto e in modo molto approfondito. Soprattutto da parte di noi uomini, che finora della violenza politica siamo stati e restiamo “virilmente”, cioè simbolicamente e fattualmente responsabili (e una violenza virile “politica” considero anche quella – di cui ora molto si discute e che si cita nel libro – esercitata dai maschi contro le donne). Mi limito qui a rilevare la magistrale tempestività dell’analisi di Muraro.
La discussione a Correggio è stata voluta soprattutto da alcune donne e un uomo (oltre a me che ho volentieri accettato l’invito). Letizia Paolozzi, tra le autrici del testo “La cura del vivere”, Clelia Mori e il gruppo “6donna” di Reggio Emilia, Ramona Campari, della Cgil di Reggio, e Renzo Giannoccolo, coordinatore Cgil della zona di Correggio.
Parlando verso la fine della riunione Letizia ha detto che era stato quasi un “paradiso” per il clima e le cose dette tra donne e uomini (che erano molti e in prima fila nella sala, piena, di una casa adibita a residenza per anziani che viene utilizzata anche per scopi sociali: fuori, sotto un tendone, non mancavano gnocchi fritti e ottimo lambrusco…). E dopo, nei commenti tra noi, improvvisamente ha osservato: “qualcosa è cambiato davvero”.
Anch’io ho avuto la sensazione di un mutamento positivo, di un segnale. Non per caso l’incontro promosso dalla Cgil era stato preceduto, sempre a Reggio, da una discussione sulla cura organizzata da “6donna” con Letizia. Ho visto in questa come in altre occasioni che il gesto di rovesciare simbolicamente la parola “cura” da una condanna oblativa subita dalle donne a un vissuto indispensabile per assicurare il vivere di tutti entra in risonanza nella testa sia delle donne, sia degli uomini. Le donne – spesso sono donne che hanno vissuto o che comunque conoscono la reazione del femminismo e dell’emancipazionismo alla “condanna domestica” avvenuta molti anni fa – si reimpossessano di scelte relazionali di vita che comunque hanno continuato e continuano a fare in ottiche diverse da quelle tradizionali (patriarcali). Gli uomini con più frequenza che in passato riconoscono il “difetto di cura” che distorce le loro vite e quelle di chi hanno vicino. Per non dire di quanto stia andando a rotoli un mondo così maschilmente configurato e afflitto da “incuria”. La parola “cura” diventa quindi una leva per cogliere immediatamente quanto non sia più sopportabile la scissione tra vita e lavoro, tra produzione e riproduzione, tra pubblico e privato. Tra ciò che è o non è considerato essere “politica”.
Lo ha detto con grande semplicità Renzo, il sindacalista della Cgil che ha contribuito con Ramona a organizzare il ciclo sul tema “donne nella crisi” al cui interno si è svolto il nostro incontro.
Ha ricordato un padre tutto preso dalla sua attività politica pubblica, e una madre affettuosa che però, “parlando di politica e di sindacato” gli ha fatto efficacemente notare come il ruolo degli uomini avesse costretto a rinunce pesanti lei e tante altre donne. Renzo dice di dovere a questo insegnamento materno il suo cercare di fare il sindacalista in modo diverso. “Molti uomini – aggiunge – non sanno dire grazie a una donna”.
Un altro uomo – mi è sfuggito il nome – ha detto chiaramente che l’elaborazione prodotta dai gruppi femministi deve “diventare patrimonio di tutti” poiché è decisivo per migliorare la “condizione umana”. In particolare, in un contesto di impegno sindacale, rompere l’attuale organizzazione del lavoro condizionata solo dalle logiche del mercato.
Questo discorso – come aveva ricordato aprendo Ramona – avviene in una zona d’Italia dove l’occupazione femminile era giunta al 60% (i famosi obiettivi europei di Lisbona: ora però è già calata di 4 punti) e i servizi sociali – a partire da quelli per l’infanzia – sono estesi e famosi per la qualità in tutto il mondo. Con la crisi tutto questo viene messo in discussione. Da qui la ricerca di idee e parole nuove anche per rilanciare con efficacia l’iniziativa sindacale e politica.
Naturalmente ai sindacalisti della Cgil interessano anche “obiettivi concreti”. Per esempio battersi per il riconoscimento di contributi figurativi per gli anni spesi nella cura di figli e genitori anziani, per le donne, e per gli uomini che si disponessero finalmente a farlo. Mettere al centro della contrattazione – cosa finora non avvenuta – un nuovo modello di organizzazione del lavoro. Oggi si assiste al paradosso che alle donne viene chiesto contemporaneamente di tornare a occuparsi della casa per via dei tagli al welfare e di lavorare molto di più prima di andare in pensione. Per Ramona un lavoro retribuito resta comunque “base della nostra autonomia”. Per altre non è più quello il punto.
Tutte e tutti, alla fine, condividevano che bisogna ribellarsi alla condizione attuale. Agire i conflitti necessari. E farlo con intelligenza.
Con cura?