Che c’entro io che sono un essere sessuato al maschile con l’uomo che aggredisce, stupra, uccide una donna? È Gianpiero Mughini, egocentrico di grande vivacità intellettuale, a porre (su notizie.tiscali.it/socialnews) la domanda (retorica). Lui, i nostri padri, fratelli, amanti, fidanzati, mariti, figli non c’entrano nulla. Loro non picchiano, non molestano, non stuprano, non uccidono le donne.
Vero. Tuttavia la brutalità senza confini, la guerra mai finita tra i due sessi sembra raddoppiare in intensità. Appunto per questo, la violenza contro le donne produce un’ennesima spinta a “fare”. Appelli, migliaia di adesioni su “La Repubblica” mentre il blog “la 27esima ora” del “Corriere della Sera” parla di “emergenza nazionale” e inizia un’inchiesta sui centri antiviolenza.
Di soluzioni a portata di mano non ce ne sono. Però il femminismo ha accumulato sapere. L’ha messo a disposizione. Peccato che ogni volta sembra di ricominciare daccapo. Per esempio Snoq accredita l’idea che il movimento delle donne nasca qui e ora. Viene aggiunto un “neo” (al femminismo) e il gioco è fatto. Niente radici; nessuna storia. Oppure, uno striscione recita “Usciamo dal silenzio”: evidentemente, fino a quel momento il sesso femminile stava chiuso nelle catacombe. Peccato! Quando una comunità chiude con la memoria, finisce per chiudersi in se stessa.
Pure gli uomini, nonostante eccezioni importanti, sono poco attenti. Rifiutano (Mughini docet) l’idea di un “continuum” connaturato all’essere maschile. Gli basta mettere una firma. Scrivono (Roberto Saviano): “Basta con la macelleria” e stop. Non è un gran gesto. Avete mai sentito qualcuno che ammetta pubblicamente, in un’aula universitaria, in un dibattito filosofico, in una riunione di redazione: Sono per la violenza?
Tanto per rimettere un po’ d’ordine in questa assenza di storia, lo statuto della donna vittima venne rifiutato (dalle donne) negli anni Settanta. Dissero “Riprendiamoci la notte” e si ripresero la libertà di nominare il proprio desiderio.
Fu allora che lo stupro, gli atti contro l’integrità femminile, allargati alle ingiustizie contro le donne assunsero un connotato preciso della violenza legata alla sessualità maschile. Un attentato, non solo materiale ma simbolico, contro il corpo e la mente femminile.
Fino a quel momento il corpo delle donne era stato trattato come un mezzo, una proprietà, una merce di scambio. Fino a quel momento agli occhi dei due sessi appariva immutabile una umanità gerarchizzata dal punto di vista biologico, economico, sociale. Non fu più così. Ma la questione non è regolata e risolta una volta per tutte. Magari con una legge. Oppure con un film o con un libro. Per questo bene che il discorso ritorni sull’eccidio delle donne, che ci sia scandalo: oggi, diversamente dal passato. Ma lo scandalo non esaurisce la questione posta da Mughini e probabilmente da molti uomini di buona volontà: “Io che c’entro?”
Intanto, i media spiegano questi gesti di massacro con il “dramma della gelosia”, “la disperazione dell’abbandono”, “la crisi economica, la disoccupazione, la depressione”. Strade giornalistiche sbrigative, semplificate (anche se siamo in debito con la carta stampata. Con le testate femminili specialmente e i quotidiani che pure saltano sul tema per condurre vere e proprie campagne): aiuta a creare un’opinione pubblica più sensibile, più attenta.
Tuttavia quel “continuum” connaturato all’essere maschile è sempre lì. Non lo vede l’opinione pubblica, i media. Il massacro non sparisce dall’orizzonte umano. Proprio perché c’è di mezzo la sessualità maschile. “La violenza sulle donne ci riguarda” (hanno riconosciuto in un testo gli uomini di Maschileplurale”).
Sono pochi, sempre gli stessi? Certo, sarebbe bello che il sesso maschile, gli intellettuali, i seri politici che firmano appelli (Bersani, etc.), quelli che frequentano luoghi pubblici, si interrogassero sulla libertà femminile e sui terribili sconquassi che provoca la perdita storica della supremazia degli uomini. Il risentimento e la volontà di ristabilire una gerarchia maschile-femminile costitutiva di un ordine e di un mondo sta sempre in agguato. In quell’ordine e in quel mondo le donne cuocevano le torte e gli uomini andavano alla guerra. Ma quei tempi non torneranno; sono irrimediabilmente perduti.
Però gli uomini dovrebbero nominare i sentimenti che gli suscita la fine di un legame, dell’amore (alcuni già lo fanno, nelle scuole, nelle associazioni, nei luoghi politici delle donne): quella sorta di angoscia machista unita alla minaccia della propria svirilizzazione che deriva, appunto, dalla ferita dell’abbandono.
Vero è che le relazioni tra i sessi sono molto diverse dal passato. Ma gli uomini hanno ancora molta strada da percorrere. Non per ritrovare un’innocenza perduta ma per costruire una virilità che non sia forzatamente dominatrice. Che sappia ascoltare, avvalersi del pensiero femminile e non soltanto comportarsi in modo “civile”.
L’amica Fulvia Bandoli che ha scritto una lettera (su DeA) ai suoi compagni di Sel, immagina che debbano essere loro a prenderela parola. Vendola, Migliore, Giordano per caso si sono assunti la violenza sessuale come un loro problema? Oppure Fulvia si riferisce a quanti, dentro Sel, di potere gerarchico non ne hanno? Ma allora, dovrebbe dire qualcosa di più sul modo di funzionare delle relazioni tra i due sessi lì dentro, e se sia possibile modificarle, cambiarle sul serio. Soprattutto, se qualcuno – non solo donne di buona volontà – ha voglia di scommettere su un simile progetto.
Quanto a Mughini, chi di noi – donna – crede siano possibili delle relazioni tra i sessi (e non un separatismo di maniera, arretrato e inefficace), sa che le relazioni tra i due sessi devono cambiare, che non sono pacificate ma conflittuali. Soprattutto, sa che sulla violenza sessuale spetta agli uomini l’onere della prova.