Con il titolo “Rovesciare la cura?” il gruppo “6donna” di Reggio Emilia organizza nella città emiliana un incontro con Letizia Paolozzi e Maria Luisa Boccia a partire dal documento “La cura del vivere” scritto dal gruppo delle femministe del mercoledì di Roma. L’iniziativa si svolge venerdì 13 aprile alle 16,30 presso La Gabella, in via Roma, 68. Il prossimo 20 aprile è previsto l’incontro aperto del gruppo romano presso la Casa internazionale delle donne di Roma in via della Lungara, alle ore 18 nella sala del Caminetto.
Di seguito riportiamo i resoconti delle ultime due riunioni aperte del gruppo:
Riunione del 24 febbraio 2012
Nella riunione aperta del gruppo del mercoledì del 24 febbraio, si è deciso di
chiedere alle partecipanti al gruppo aperto la loro esperienza sulla cura e
le motivazioni che le hanno spinte gia’ per la seconda volta a partecipare
al gruppo mensile.
Danila racconta come attraverso la cura abbia recuperato un rapporto con sua
madre e abbia scoperto attraverso la cura una nuova forma di conoscenza : un
porsi di fronte all’altra senza richieste di riconoscimento e senza la
tensione di essere all’altezza delle aspettative. C’e’ un conflitto comunque
all’interno di questo tipo di relazione e riguarda le limitazioni alla
propria libertà per soddisfare le necessita’ di chi ha bisogno.
Laura riconosce nella “cura” uno strumento rivoluzionario in quanto sposta
un’ottica e apre spazi nuovi, anche Caterina parla di scarto e della
possibilita’ insita nella cura di “dare senso”, inoltre essa si manifesta
dove c’è pratica di relazione.
Elena vuole cogliere i riflessi sullo spazio pubblico, connettere le parti
che riprendono una tradizione pubblica, cita: “Genere e politica al tempo
della crisi” . Il lavoro e’ stato diviso sempre in produttivo e improduttivo
e il femminile affrontato in termini numerici. La cura puo’ essere un
paradigma trasformativo. Le pratiche politiche che le donne hanno esercitato
nella collettività hanno forma di cura. Nella condizione contadina: le donne
sono state curatrici della collettività non solo del privato , le loro
pratiche: dalla visita alla corrispondenza, al dono , hanno realizzato
comunità. Anche tra gli “occupy” c’è la pratica dell’ascolto, nessuna
decisione viene presa senza che ognuno, secondo le proprie modalità, si sia
espresso e ognuno si prende cura dell’altro. A Capo Verde le donne hanno
messo in atto piccoli modelli produttivi che hanno proiettato all’esterno
creando modelli stabili. Spostando lo sguardo si può cogliere la cura come
paradigma trasformativo.
Alberto invita a flettere sul fatto che la pratica sia svolta principalmente dalle donne ma che può essere scoperta come molto interessante dagli uomini, e inoltre come questa parola contenga una ricchezza di significati e che in momenti di crisi le pratiche piu’ innovative vengano dalle donne. Nel saggio “Va un po’ meglio ” alcuni economisti non allineati affermano che se non si guardano i soliti indicatori, anche i continenti che sembrano andare alla deriva appaiono migliorati; in paesi di risorse scarse un diverso modo di affrontare il problema può produrre una buona vita. Anche a Genova ha vinto le primarie chi si proponeva di affrontare i problemi in modo diverso.
Maria racconta che quando ha chiuso il Virginia Woolf ha pensato che fosse
cruciale la cura di se e la cura degli altri e si occupa della cura della
città, ma pensa che sia arrivato il momento di far intersecare i vari piani.
Marina, dopo un rifiuto iniziale di praticare la cura come destino, ha
preso in gran cura le relazioni, soprattutto come insegnante e sottolinea
come la cura venga svalorizzata quando e’ rivolta all’ambito privato.
Rosetta ritiene che questo sminuire sia la conseguenza del conflitto con gli
uomini: il patriarcato ha relegato la cura e la donna in un ambito familiare
senza valore rispetto allo spazio pubblico.
Bia parla di pratica trasformativa e del nesso tra cura-politica-potere.
Bisognerebbe analizzare meglio verso chi e verso che cosa c’è maggiore
attenzione o incuria. Come verificare ad esempio le promesse di attenzione e
di impegno di un candidato? La cura e’ forse una parola tirannica, perché
prevede uno sbilanciamento fra i soggetti ?
Bianca racconta l’esperienza dell’incontro milanese dove appariva evidente
la centralità del pensiero femminista. C’è spazio e bisogno di indagare riflettere e portare all’esterno le nostre esperienze, realizzare un campo,
un terreno di incontro fra le varie esperienze dove si ponga anche il
rapporto con la politica istituzionale sulla cura-lavoro-politica. Mettere a
punto la nostra critica sul welfare ormai solo monetizzato e trovare
risposte collettive.
Maria Rosa citando Lisa Del Re parla della divisione della cura in 1- lavoro
domestico 2- lavoro di riproduzione 3-la cura come un di piu’. Bisogna
lavorare e indagare meglio questo di piu’.
Letizia raccontando anche lei di Milano, rileva come le donne presenti,
rispetto al discorso della cura, si siano divise tra quelle “del fare” e
quelle “del pensare”. Comunque, ha avuto la sensazione, inaspettata, di
ritrovare una comunità del noi che nella cura (e nelle relazioni) opera un
rovesciamento delle modalità di agire.
Riunione di giovedì 29 marzo 2012
Letizia : annuncia le prossime riunioni aperte del gruppo alla Casa: 20 aprile e 23 maggio (sala del Caminetto) 21 giugno (Caffè letterario). Riferisce dell’incontro svoltosi alla Casa delle donne di Livorno al quale ha partecipato con Maria Luisa Boccia. E’ emersa, e non solo in quella occasione, una bella messa in scena delle relazioni in quel gruppo di donne: un quotidiano senza interruzioni. Sono stati formulati interrogativi sulla cura: una volta era tutta “a perdere”, oggi c’è un modo diverso di praticarla?
Maria Luisa: Le donne di Livorno hanno avuto rapporto con le istituzioni locali che è andato peggiorando con il diminuire della risorse pubbliche e in un quadro di cambiamento negativo del rapporto tra Comune e luoghi di pratica politica attiva come il loro. C’è incuria da parte delle istituzioni e loro lo giudicano problematicamente, misurando la distanza con la politica dei partiti e delle istituzioni. Torna la frase: “ma come si fa a stare in un partito?”
Maria : Intanto grazie al gruppo per lo spostamento operato dal lavoro di cura alla qualità delle relazioni che la cura rappresenta, al riparo dalla dimensione del potere: non che le donne non pratichino anche il potere, ma hanno un di più nella cura. Dipende dalla natura o dalla cultura? Tuttavia c’è ancora incomprensione e resistenza da parte delle donne. E’ necessario fare conoscere meglio il concetto del “di più” della cura, con un linguaggio chiaro e parole semplici. Ci vorrebbero molti racconti sul proprio lavoro, o da parte di chi opera nella “politica seconda”. Ma nelle pratiche ci sono le due cose: un amore per il bello, la salute, lo stare bene. Per es: nel privato la cura della casa. Nel pubblico rendere belli i luoghi in cui si agisce: da presidente del Virginia Woolf, Maria si è molto impegnata per rendere accoglienti le sedi. L’aspirazione al bello è profondamente appagante. Ora è in un Coordinamento di 18 associazioni che si occupano della buona vita nella città storica (vivibilità, mobilità, decoro ecc.). Ci si pone il problema di come reagire alla prepotenza del potere e all’individualismo sfrenato, come risolvere i mali della città. Avendo a che fare con il labirinto della burocrazia, ciò richiede molto tempo e molta pazienza; nella burocrazia promettono e non fanno: tuttavia adesso c’è la spinta a presentare delle liste civiche. In queste esperienze associative si vede qualcosa anche da parte dei maschi… però donne e uomini hanno un modo diverso di prendersi cura.
Danila: C’è conflitto nella cura, e quale tipo di cura possiamo utilizzare come leva di trasformazionee nella relazione con la libertà femminile. Nella famiglia di origine lo scontro sulla cura c’è stato con un padre “sultano”. “Io ero femminista già quando aspettavo mio figlio. Come madre la relazione col figlio maschio non mi ha pesato: è stato piuttosto un esercizio di libertà, un rapporto istruttivo con un maschile che non mi è ostile, cresciuto tra donne libere”. Riscontra però un’assenza nel discorso, che riguarda il conflitto nella cura verso il partner, non viene menzionato ma non si può bypassare. E’ un conflitto essenziale. L’uomo adulto non si fa carico di sé, è molto dipendente.
Paola: Si ferma sulle parole di Luisa, la differenza tra cura e lavoro di cura: queste riflessioni sono state una epifania.. “Nella mia storia c’è la paura delle dicotomie (doppia militanza, divaricazione tra braccia e mente.. ecc.). Ma qui un punto di vista femminista opera una sintesi felice tra cura e lavoro di cura.. serve un lavoro di fino su quanto è inestricabile in queste relazioni.. Abbiamo paura di dire che anche nella ripetitività e non senso del lavoro domestico c’è qualcosa di più”…
Franca: D’accordo con Paola che per la cura c’è la scelta delle donne; sarebbe sbagliato farla restare chiusa nell’ambito familiare… bisogna scavare di più con l’altro della coppia. E’ uno slancio, quello della cura, che non va visto e chiuso solo nell’istituzione della famiglia. Giacché guarda e si fonda sulle relazioni, è fondamentale seguire quello che è avvenuto nelle vite delle donne, nelle nostre vite. Resta che le relazioni sono state e sono tra donne. Non solo relazioni politiche ma anche vacanze insieme, tempo di incontri in comune. Gli uomini no, con la nostra vicenda non c’entrano.
Aurora: Ma adesso ci ridanno la cura!… Io non mi confronto con la Fornero..
Maria Luisa: Il lavoro di fino è necessario per distinguere bene… Non penso che nel lavoro di cura non ci sia la cura e il di più che rappresenta.. Ma non penso che ci sia sempre. A me già è stato detto: “tu studierai”, e quindi un certo ruolo non mi ha riguardato. Eppure a ogni donna tocca… il punto è se lo devo fare o lo voglio fare, non subirlo e il come questo trasforma la relazione. Non c’è qualità nella relazione con gli uomini se non c’è conflitto e scambio… Dove prevalgono gli uomini c’è una minore qualità delle relazioni, e questa situazione non la rimontiamo se non investiamo quel tesoro, se non ne facciamo moneta circolante. Anche per modificare il lavoro di cura vedendo quel di più che non può essere dato dalla – per quanto ottimale – organizzazione dei servizi. Sono attività che quando si professionalizzano in genere si degradano.
Maria Rosa: Conosco discussioni tra giovani donne che su questi temi hanno fatto grossi passi avanti. Tuttavia, si tratta di un capitale femminile e culturale che non è diventato ancora forza simbolica per la trasformazione… D’altra parte, il femminismo ha analizzato poco i corpi al lavoro.. qui si tratta anche di riflettere sul salario di cittadinanza, come sistemarlo all’interno di questo contesto, analizzando se può significare un passo avanti o un passo indietro.
Stefania: Il problema è come tenere la parola cura insieme ad altre … Qualcuna mi addita negativamente: sei nel gruppo della cura! “Nella cura ritrovo una disparità che c’è sempre ma è una cosa buona. Quanto agli uomini da lesbica non ho praticato il problema della relazione con il maschile. Secondo me, la parola cura va declinata con la parola amore”..
Alberto: La parola e la riflessione sulla cura lo ha preso in modo profondo sia sul piano personale – “ho imprevedibilmente a che fare con una maggiore richiesta di relazione da parte di figli trentenni alle prese con la conquista di autonomia” – sia su quello politico, dove vedo l’incapacità maschile di tentare altre strade. A proposito dell’incuria come assenza di un conflitto chiaro, per la prima volta gli è venuto da desiderare di utilizzare parole forti rispetto alla tendenza che la crisi economica e politica provoca a riandare nostalgicamente al passato: il pensiero maschile a sinistra che si consola ripetendo: Marx e Keynes avevano ragione… C’è una parte di verità ma non tutta la verità. Ha ascoltato l’interessante esperienza delle associazioni per la città di cui ha parlato Maria: “penso che esistano numerose realtà in cui crescono pratiche politiche come queste che cercano di tenere insieme le cose (per es nella sanità)”. Forse le riunioni aperte del gruppo potrebbero cercare di intercettarle più sistematicamente, però senza danneggiare questo modo di parlare molto produttivo…
Letizia: Provo disagio a sentire ripetere tante volte “la vostra riflessione”, “le cose dette dal vostro gruppo”. Ormai c’è un lavoro comune, siamo andate avanti insieme. La cura è qualcosa che dobbiamo ancora sondare, ha a che fare con la mentalità umana, con la paura di un deficit sempre in agguato. Quando aspettavo mio figlio avevo molta paura di come avrebbe potuto nascere.. poi l’ansia di quando aspettavo i suoi ritorni a casa… noi abbiamo iscritto nel nostro corpo un sentimento della mortalità.. qualcosa che ci fa diverse dagli uomini.
Fulvia Bandoli :Nel gruppo abbiamo faticato tre o quattro mesi prima di giungere a circoscrivere l’argomento. Che cos’è il di più di cui parliamo? Dovremo definirlo meglio… E non rinchiuderci in un sapere che supponiamo solo femminile… I maschi adulti non sanno prendersi cura nemmeno di se stessi? “Mio fratello è molto più capace di me di avere a che fare con il corpo di mia madre”.. Non c’è un destino che fissa i ruoli.. O forse preferiamo trattenere questo di più su di noi perché non vogliamo avventurarci altrove? Ho avuto da mio padre una formazione politica dogmatica.. poi ho imparato da Ingrao, da Franca e da Luisa… penso all’importanza della cura del conflitto, riconoscerlo e agire per non renderlo mai sterile, ciò significa cura delle relazioni”. Al contrario se prevale l’incuria tutto è destinato a disgregarsi.
Edda: Vi sono molto grata per il lavoro che avete fatto.. Mi è stato prezioso.. io ho fatto per 40 anni lavoro di cura, e voglio nominare la cura per la mia canina Lilli… (Le donne raccolgono sempre la cacca dei cani, gli uomini no…). A Lilli io devo moltissimo. Mi chiedo poi se, a proposito di cura, non dobbiamo rispolverare anche la parola “sorellanza”…
Aurora: Io faccio parte dei gruppi di “guerrilla-garden”… Ho piantato fiori e piante nelle aiuole sotto casa mia, le macchine ci andavano sopra invadendo tutto il territorio. Ora non lo fanno più…