Mentre scrivo queste righe, lavoro molto al pc e non compro più i giornali sette giorni su sette. Ma per la prima volta da molto tempo non me ne preoccupo. Per lunghi mesi sono rimasta incollata alle pagine del Il Sole24 ore a seguire i destini dello spread come se dipendessero da me e non da altri. In particolare nelle settimane drammatiche che hanno preceduto le dimissioni di Silvio Berlusconi e fino a poco dopo le lacrime di Elsa Fornero, tanto per intenderci. Come in un killer-book, l’attacco poteva colpirti di sorpresa e quando meno te lo aspettavi: poteva venire dalla tua stessa regione, dalla Spagna o dalla Grecia, o dai rating di Moody’s.
Poi improvvisamente molto è cambiato. E me ne sono accorta il primo giorno in cui non ho comprato il giornale e non ho visto un notiziario: la svolta non dipendeva da una mia improvvisa guarigione da dipendenza alla tragedia, quanto dal fatto che la politica si era improvvisamente dissolta. Era come smettere di abitare vicino un aeroporto e finire in un casolare di campagna. Erano uscite le escort ed era entrato il silenzio.
Non parlo di felicità, ma di sollievo sì. Vivo quasi un sentimento privato rispetto all’attuale situazione italiana, come se il governo – che pure mi randella con balzelli gravosi oppure mi ignora nella mia esistenza di cittadina – si fosse preso carico di un fardello gravoso, mettendomi in un limbo ben educato, una cuccia non ancora comoda dove nessuno alza la voce. Il pollaio, sparito.
Da cittadina educata alla politica non ho dubbi sul fatto che si debba tornare a votare prima o poi. Ma il fatto che debba succedere tra un anno mi sgomenta: ho paura di rivedere le facce di molti, ho paura di quello che potranno votare quelle molte e molti a cui attribuisco le conseguenze di scelte scellerate dentro le urne. Ho paura di votare con la legge che c’è oggi, dove non vale più la norma una testa un voto. Vorrei rimanere qui, per un altro bel po’, disposta a prendere bastonate ma in inglese, piuttosto che vedere fette di mortadella agitate in parlamento. Vorrei soprattutto non essere invitata a fare il mio dovere civico, perché in questo momento dovrebbe solo apparire San Giorgio col suo drago per portarmi alle urne. Le voci della politica di questo periodo rimangono in sottofondo, mi arrivano come se fossi immersa in un acquario. Non sono poco realista, so che torneranno. Ma so anche che qualcosa in questo paese è profondamente e repentinamente cambiato: la stanchezza ha preso il sopravvento, la dignità di molti è sbucata dal cassetto e tutti ci guardiamo intorno, invero un po’ smarriti, perché non sappiamo proprio bene cosa ci succederà domani, per quanto tempo saremo ancora così poveri e quando tornerà l’occupazione. Nel frattempo resto avvinghiata a un governo che cerca di non sporcarsi troppo le mani, anche se non posso condividere tutto.
Ma per favore, lasciatemi a casa il più a lungo possibile, non fatemi votare.
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