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Ragazze interrotte. Anche dalla sinistra

2 Marzo 2012
di Celeste Costantino

Il 3 e il 4 marzo alla Casa Internazionale delle donne di Roma si terrà “Ragazze interrotte”, un incontro nazionale promosso dalla Rete delle donne di Sel aperto a tutte e a tutti, ai partiti, ai sindacati, alle associazioni, ai movimenti.

Sono tanti i motivi che ci hanno spinte a organizzare questo meeting: l’esigenza di approfondire quella che definiamo la “crudeltà della crisi” e la necessità di raccontare la precarietà di più generazioni, la richiesta di denunciare la necessità di più rappresentanza e il bisogno di una schietta e libera riflessione sui movimenti passati e recenti. Ma c’è anche altro dietro questo appuntamento, un punto su cui si fatica a discutere perché investe direttamente lo spazio politico in cui ci muoviamo e ci riconosciamo: la sinistra. C’è l’ambizione di mettere in discussione la propria “comunità” su elementi che dovrebbero essere fondativi dello stare insieme per fare politica. Una dimensione scomoda e complessa, che attiene all’analisi, all’azione e alle relazioni.

Non è solo mancanza di attenzione, che pure esiste, alle questioni che storicamente ci mettono al centro della differenza: la violenza, il welfare, la rappresentanza. È piuttosto un’incapacità di sguardo che attraversa tutta la lettura del politico e del sociale. Non si tratta della cessione del potere, quanto piuttosto della trasformazione del potere che la sinistra non è in grado di costruire.

Ecco perché spesso le “quote rosa” o la cosiddetta “parità di genere” viene vissuta dagli uomini e dalle donne come uno strumento ingiusto: perché costringe da una parte e delegittima dall’altro. In questi casi, entrambi invocano la meritocrazia. Una parola che non è mai appartenuta al nostro vocabolario e che esce fuori in relazione alle donne.

E allora, guardando la sproporzione negli organismi dirigenti che sono tutti a maggioranza maschile (quando non viene imposta una norma statutaria), potrebbe apparire inevitabile affermare che gli uomini sono più bravi delle donne. Qualcuna si affannerà nel dire che è una questione di “tempi maschili”, che non permettono un’adeguata partecipazione. È vero, ma sappiamo bene che non è solo questo: la conciliazione non è la soluzione al problema.

C’è invece un timore strutturale che impedisce alle donne di esprimersi liberamente dentro i partiti. Riguarda l’esposizione pubblica, riguarda lo scontro politico interno. Ecco perché diventa più facile essere delle grandi organizzatrici e non delle protagoniste nel sistema. Naturalmente c’è anche chi emerge: sono le più brave o sono quelle che si sono adeguate meglio a un modello maschile? Forse un po’ entrambe le cose. Certo è che non è mai facile. Non è mai facile la partecipazione, non è mai facile lo svelamento.

Riconoscere, ammettere e denunciare la discriminazione di genere quando viene agìta dai tuoi compagni di viaggio, dagli uomini con cui condividi un progetto politico è quanto di più complicato possa esistere in un sistema chiuso come un partito. È una forma di violenza: speri sempre di aver capito male, di aver frainteso, addirittura a volte arrivi a pensare che forse è colpa tua. Non sono pochi i casi in cui la fisicità e la “bella presenza” delle compagne diventano segno di poca autorevolezza e ostacolo allo svolgimento delle funzioni dirigenziali. L’ingenua rassicurazione che viene dagli uomini peggiora le cose: nessuno mette in discussione l’intelligenza, forse però per quel ruolo in quel territorio specifico c’è bisogno di un’immagine più “dura”. Niente a che vedere con la politica.

Avviene anche che chi la discriminazione è in grado di riconoscerla preferisca comunque sacrificarla sull’altare del “potere consolidato” e del “consenso necessario”. Perché schierarsi a favore della bellezza e contro la discriminazione se dall’altra parte c’è tutto quello che serve? Semplicemente perché non è davvero quello che ci serve.

Oggi più che mai la Sinistra ha bisogno di essere alternativa, di essere popolare. Di non rispondere a una logica speculativa che la metta al pari degli altri. L’antipolitica nasce a sinistra, non a destra. E nasce dal disprezzo nei confronti di un modello lontano dalle difficoltà che investono la condizione umana ed esistenziale di tante e di tanti, di troppi in questo Paese.

Il tema dei diritti deve essere al centro della dimensione politica. In questo senso decliniamo la crisi e in questa direzione proviamo a trovare delle soluzioni economiche capaci di sostenere il concetto concreto e non astratto di giustizia sociale. Di tutto questo parlerà “Ragazze interrotte”. All’interno dei workshop di approfondimento e nell’assemblea plenaria che non a caso abbiamo voluto alla presenza del nostro segretario nazionale Nichi Vendola. Con una consapevolezza: la denuncia che parte da noi, dai nostri luoghi del fare politica, non ha la funzione di strappare qualche riconoscimento in più o maggiore rappresentanza. L’idea che sottende questa due giorni è molto più ambiziosa: è l’inizio della costruzione di una nuova sinistra, è la possibilità di rileggere insieme i processi presenti per individuare le prospettive future. È il tentativo di riconnetterci con un mondo che è lì fuori, che non ci aspetta, e che ha bisogno di tutte quante noi.

 

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