Si è rilassato, Mario Monti. E con un certo compiacimento vuole educare tutti a quel tocco di classe che lo caratterizza. Perché lui non è un volgare populista che fa sognare tutti di partecipare della propria ricchezza.
No, lo spiega bene il nostro nuovo premier, che chissà perché ci ostiniamo a chiamare professore, come se per questa via lo autorizzassimo a bacchettarci ex-cathedra dopo le colpevoli dissipazioni – di chi? di chi lavora? – che hanno portato alla rovina il paese. Lui non parla mai a vanvera o fuori contesto, neppure quando nomina il monotono posto fisso, tantomeno quando definisce afflitti da «buonismo sociale» i precedenti governi. Chissà perché non penso che alluda a corruzione, clientelismo comprese finte invalidità e assunzioni inutili, reciproci favori tra potenti di vario ordine e grado.
Per il liberista Mario Monti buonismo sociale è tutto ciò che non è nel mercato. Insomma il welfare, quella forma imperfetta, lacunosa e sì, anche eccessivamente burocratica e sicuramente riformabile, che sostiene la faticosa esistenza quotidiana di chi vive – o non vive – del proprio lavoro. Che sostiene la vita delle donne.
È dura, non concede nulla, la visione di Monti. Una chiara e coerente visione di classe. Uno shock, dopo l’edonismo mediatico di Berlusconi. Uno shock necessario? Vale la pena di considerarla l’unica strada per la salvezza del nostro Paese? Possibile che le buone maniere siano diventate la sostanza della politica?
Vale la pena di aderire con il cuore e con l’anima, come succede non solo a quotidiani e partiti, alla rigida – sì, rigida ancorché dedita alla flessibilità delle vite altrui – e crudele visione di classe che condanna come apartheid i diritti di chi lavora? Senza nulla da dire a proposito di manager, banche, mercati? Ma si sa, la classe non è acqua.