“Troppa felicità” di Alice Munro, Einaudi 2011
Nei racconti dell’ottuagenaria canadese Alice Munro un continuo scivolamento dallo spirito logico della scrittura al delirio paranoico dell’immaginazione, conduce all’orrore della normalità. Un padre uccide i suoi tre figli e la moglie continua a visitarlo nel carcere dove è detenuto; due adolescenti affogano l’amica pigiando la cuffia di gomma “di quel celeste pallido insulso”. L’enigma, costruito grazie alla semplice osservazione di qualche traccia: cucine, respiri, nudità, corpi, alberi, nutre il discorso narrativo dove il male è ovunque, sempre pronto a infiltrarsi nell’ordine della realtà. La lettura dei racconti significa accettare un’angoscia che non può essere eliminata dall’interpretazione psicoanalitica. Fa eccezione “Radicali liberi” che sguscia via dall’atmosfera mortifera, oscillando tra felicità e infelicità.