Invito al dialogo; invocazione alla politica. Ma in Val di Susa non si intravvedono né l’uno né l’altra. Un’insensatezza che dura da venti anni. La conoscono i vecchi, i giovani, le donne, i bambini, i sindaci. “Anni di vite blindate, segregate, rallentate, bloccate, ostaggi dei rancori” ha detto (sull’Avvenire) il sindaco sì Tav di Chiomonte.
Così non si può andare avanti, ripetono i contrari alla Tav (la maggioranza). Una valle intera, “un popolo” (Marco Revelli sul “Manifesto”). Ai media tutto questo interessa poco. Registrano solo se sale la tensione, se si alza “il livello dello scontro”.
Prima di cadere fulminato dal traliccio, Luca Abbà aveva gridato “Mi appendo ai fili della corrente se non smettete”.
Gesto disperato. Imprudente, rabbioso quello dell’agricoltore, leader del Comitato No Tav Alta Valle? Un’ora dopo, in tutta Italia, da nord a sud: Torino, Bologna, Pisa, Firenze, Roma, Napoli, Palermo, sono esplose manifestazioni, blocchi stradali.
Valligiani e ambientalisti pensano di essere dalla parte giusta. Anarco-insurrezionalisti, autonomi, “uomini neri” dei centri sociali che prendono le decisioni in piccoli gruppi, pensano di essere dalla parte dei valligiani lanciando sassi e facendo esplodere le bombe carta.
Per potenziare una ferrovia già esistente, per scavare un tunnel dentro la montagna i cui versanti contengono abbondanti tracce di amianto, per far crescere il traffico merci e passeggeri nella Torino-Lione sono arrivati in Val di Susa i poliziotti, i blindati. Le ruspe servono a spianare la baita in Val Clarea, nei pressi di Giaglione. Gli operai e la polizia che li protegge hanno anticipato di un giorno i lavori per battere sul tempo i militanti No Tav. Sarebbe questo il dialogo?
Il giornalista del “Corriere della Sera” Marco Imarisio afferma candidamente: “Giusta o sbagliata che sia, la linea ad alta velocità Torino-Lione è ormai irreversibile”. Anzi, “ineluttabile”.
Ma guarda! La linea della “fermezza” vince ancora.
I partiti, le istituzioni, l’Europa, i governi, Torino e l’Italia insistono con la trasformazione in cantiere di una vallata. Con la polizia che deve prendere possesso militarmente del territorio. Pure in queste (proibitive) condizioni. Perché “la Tav è un’opera strategica” (il sindaco di Torino, Fassino); “Il lavoro è in corso, deve continuare nel modo migliore come previsto” (il ministro Passera senza tenere conto del clima che si è creato con Luca Abbà che giace in coma).
Non siamo nella Cina di Hu Jantao dove, per un progetto idroelettrico, vengono spostati a forza migliaia di contadini. Racconta ancora il sindaco di Chiomonte: “I politici lasciano i poliziotti a macerarsi in questa valle senza un coordinamento. I No Tav occupano l’autostrada? E loro corrono a liberarla in trecento, con gli idranti. Poi se ne vanno e i No Tav la bloccano di nuovo”.
La bloccano in un ennesimo scontro guerreggiato. Segue il monologo della “pecorella” tra manifestante e poliziotto “encomiato” perché non ha reagito, non ha parlato. In effetti, la parola resta inascoltata, come è successo a Luca Abbà, alla sua solitaria dimostrazione. Soprattutto resta aperto l’interrogativo essenziale: la Tav è un’opera giusta o sbagliata? Non viviamo forse in un mondo in crisi, dove si è rivelato completamente sbagliato ciò che appena qualche anno fa era dogma indiscusso?