188 è il numero di una legge varata nel 2007 e abrogata l’anno successivo, 188 le firme femminili in calce a una lettera rivolta alla ministra Fornero che ne chiede il ripristino. La legge stabiliva che le lettere di dimissioni volontarie di un lavoratore o di una lavoratrice dovessero essere scritte su moduli con numerazione progressiva e della durata di quindici giorni. Questo per evitare che il datore di lavoro al momento dell’assunzione insieme al contratto facesse firmare una lettera di dimissioni senza data da usare a suo piacimento, anche come ricatto permanente.
Secondo i sindacati sarebbero almeno due milioni i lavoratori che sono stati costretti a firmare le dimissioni in bianco. Il 60 per cento sono donne, nella maggior parte dei casi dimesse a forza in seguito a una gravidanza. Operaie, commesse, impiegate di piccole aziende. Nel 2009, dicono i dati ufficiali, 17.878 donne hanno lasciato il lavoro in seguito alla maternità. Nel 2010 il numero è salito a oltre 19 mila.
Quanti di questi abbandoni sono stati obbligati da una lettera prefirmata?
La legge 188 prevedeva un meccanismo semplice ed efficace, ma , appena insediato, il governo Berlusconi ne decretò l’abrogazione. Non avendo la forza politica di affrontare lo scontro con il sindacato per cancellare o riformare l’articolo 18 preferì avvallare una pratica subdola e illegale. Già lo scorso 8 marzo “Se non ora quando” mise nella sua piattaforma il ripristino della legge. Ma è con l’insediamento del governo Monti che è ripresa una mobilitazione tutta femminile. Il 22 novembre una prima lettera di 14 donne del sindacato, della politica e della cosiddetta società civile chiedeva alla Ministra Fornero “un atto concreto e simbolico” e cioè riportare in vita quella legge. Si sono poi succeduti articoli e denunce sui giornali oltre che petizioni via internet.
Il 3 gennaio c’è stata una prima risposta pubblica di Fornero con la promessa di un intervento. Gennaio sta per finire e gli appelli si moltiplicano. Gira e rigira la questione delle donne giovani si focalizza sempre qui: maternità e lavoro. E loro, le ragazze di oggi, li vogliono entrambi. Mentre di lavoro ce n’ è sempre meno e di maternità anche. La questione non riguarda solo quante riescono ad ottenere un lavoro (apparentemente) stabile. Altrettanto tocca quelle che hanno di fronte un percorso lavorativo irregolare e sono sottoposte ad altri ricatti.
Dice Sara, 30 anni: “Nel mio contratto, a termine, stipulato da un ente universitario, è scritto che in caso di gravidanza il contratto stesso verrà sospeso e potrò riprenderlo e completarlo dopo la maternità”. Anna, 28 anni,: “Devo firmare il rinnovo del contratto, che succede se dico che sono incinta anche se solo da due mesi?”. Racconta Elsa, 30 anni: “Sai che mi ha chiesto una del personale? Ti sei appena sposata, non è che sei incinta per caso? Le ho detto di no. Allora ha insistito: devi dirmelo se ci stai provando. No, le ho detto, per ora no, ma perché me lo chiedi? Sai per organizzare il lavoro quando dovremo rinnovarti il contratto…Non le ho creduto”. Giovanna, che è loro coetanea, un po’ le invidia: loro una forma di tutela ce l’hanno, almeno la tredicesima e la liquidazione, oggi, dice, i contratti a termine non li fa quasi più nessuno. Ora devi fingerti libera professionista, aprire la partita Iva, pagarti il commercialista e i contributi. Come fa lei, che un figlio lo vorrebbe ma poi, si chiede, se sapessero che sono mamma mi darebbero ancora fiducia?
Sono migliaia in questa situazione, spesso ragazze con laurea e master . Per loro nessuna lettera di dimissioni in bianco. Per licenziarle ci vuole niente, basta non rinnovare il contratto.