Vittime? Vittime le ragazze delle feste di Arcore? Ma a leggere le cronache, le interviste che alcune hanno rilasciato a giornali e tv e quelle centinaia di pagine indiscrete (che avremmo preferito non leggere) che riportavano le loro telefonate, non si aveva l’impressione che fossero vittime. Né poverette plagiate, né ingenue fanciulle di campagna abbacinate dal rutilante mondo del potere. Piuttosto capivi che si trattava di donne che avevano scelto di mettere a frutto, in un discutibilissimo modo, le loro risorse estetiche ed erotiche. Per ottenere regali costosi e/o una spinta per entrare nel sottomondo dello spettacolo. Per narcisismo e per noia, anche. E qualcuna forse perfino per amicizia, variamente ricompensata.
Non ci hanno mai fatto simpatia, non avremmo mai voluto delle figlie che le imitassero. Ma andare a quelle feste, con annessi e connessi, sembrava facesse parte della sfera privatissima della loro vita. Per alcune di una fase circoscritta della vita, non la scelta della prostituzione come mestiere, ma l’occasione per poter fare altro. Un frutto, amaro per noi, della libertà di disporre di sé. Libertà condizionata dal consumismo sessuale, dalla moda, da come il femminile è rappresentato nei media, dall’educazione familiare? Certo. Come tutti i comportamenti, di donne e di uomini. Perché i magistrati invece hanno deciso di considerarle “persone offese” nella loro dignità? Per altro dopo averle gettate in pasto a giornali e tv che le hanno trattate come criminali ed esibite nei talk show come trofei.
Si tratta solo di un meschino trucco processuale per far sì che, nella speranza di ricchi risarcimenti, si schierino con l’accusa come le tre che già si sono costituite parte civile? Annalena Benini scrive su Il Foglio che “in nome della denuncia della mercificazione del corpo delle donne, queste donne vanno mercificate e usate come oggetti, utilissime perché dove ci sono le vittime c’è sempre un carnefice”.
Temo però che sia in ballo anche una questione ideologica: la pretesa di difendere il bene “dignità della donna” a prescindere dalle donne. L’idea che alle istituzioni tocchi redimere anche chi non vuole essere redenta. Sappiamo bene che per altre forme di servilismo e compiacimento dei potenti, nel mondo politico e non solo, nessuno avrebbe pensato agli accondiscendenti “servitori” come a parti offese e vittime. E’ il sesso allora a fare la differenza, a rendere intollerabile lo squilibrio di potere tra le ragazze del bunga bunga e il loro ospite. Ma sarà vero che in quelle feste il potere stava da una parte sola?
Forse nella testa dei magistrati (anzi, magistrate) di Milano è rimasta l’idea antica che le donne, anche quando sono maggiorenni, vanno sempre trattate come minorenni.