Il “di più” nella cura

22 Novembre 2011
Intervento all'incontro sulla "Cura del vivere", 30 ottobre
di Adriana Sbrogiò

Io non avevo l’intenzione di intervenire, però sento che ho da restituire qualcosa dopo che, con il suo intervento, Rosetta Stella mi ha trasmesso tanto entusiasmo. Perché anch’io l’ho provato e lo sento anche adesso, per il lavoro che è stato fatto. E’ un lavoro che mi ha entusiasmata fin da quando l’ho avuto tra le mani e  subito l’ho distribuito alle mie amiche che, come me, fanno parte dell’associazione Identità e Differenza. Man mano che leggevo, coglievo in ciascun articolo alcuni particolari e significati che mi facevano pensare a qualcuna o a qualcuno, e mi dicevo:  di questo Marisa sarà contenta; questo lo devo proprio dare a Gabriella; questo renderà orgogliosa Natalia perchè può vedere così ben descritta la sua pratica, Gianni si ritroverà sicuramente in queste parole….e così via.  Di fatto poi ho distribuito i testi al completo a tutte e a tutti. Per me questo lavoro è stato come una rivalutazione di alcune situazioni della mia vita e non soltanto per me, anche altre l’hanno apprezzato perché è stato dato un nuovo valore al loro impegno nelle varie attività di cura.

Personalmente non abbandonerò mai la parola cura, in quanto me la porto dentro fin da quando sono  nata, o perché ne ho avuto bisogno o perché ne ho data tanta. Quindi finchè sentirò che fa parte della mia pratica, del mio cuore e pensiero, del mio vivere quotidiano, io userò questo termine con il significato che le do io, ma che ho trovato anche in molte delle vostre parole, nei vostri ragionamenti e descrizioni, alcune soprattutto mi rispondevano profondamente.

Forse non ho capito bene, perciò cerco di comprendere che cosa vuol dire quella parola che alcune di voi usano spesso: “lo scarto”.  Mi pare che sia quello che io chiamo: “di più”. Perché “di più”?

Perché nella cura di un essere umano o anche di un qualcosa, ci si mette dentro amore, ascolto e gentilezza, sensibilità e attenzione, la si esercita con passione.

Sono anche d’accordo con chi dice che la cura non è solo quella che si vive in casa, che c’è un modo di stare al mondo che è un prendersi cura, il più possibile, di tutto quanto ci circonda, donne e uomini, piccoli e grandi, ambiente e cose.

Quando avevo poco più di quattro anni, sono andata ad abitare con i nonni materni , che erano già abbastanza vecchi, e da loro sono stata allevata perché i miei genitori si erano separati.  Ricordo che quando avevo dieci o dodici anni, i miei nonni dicevano “noi l’abbiamo allevata e lei, adesso, ci cura”. Infatti ero io che mi dedicavo a loro che diventavano sempre meno autosufficienti.

Quando ho letto “La cura del vivere” ho sentito che era quello che aspettavo da tanto, aspettavo che questa parola Cura, così importante per nominare una buona parte della nostra quotidianità, venisse presentata in una maniera bella, viva e da angolature più diverse. Anche distinguendola dal “lavoro di cura”. E’ stata apprezzata e valorizzata come un bene essenziale per la qualità del vivere.

Capisco che non tutte hanno lo stesso entusiasmo perché ritengono la parola cura un termine vecchio, confuso e abusato, ma io provo gratitudine verso queste donne che hanno preso l’iniziativa della ricerca e l’hanno rinnovata con analisi, pensieri ed esperienze.

Infatti quando parlo di cura, e non solo io, so di non dire parole astratte, di non esprimere solo concetti, ma sono parole dell’esperienza.

Ritornando ai miei nonni, solo per un esempio, posso dire quello che mi è stato insegnato e quello che ho imparato durante gli anni in cui ho badato ai miei vecchi. Ho imparato ad amare la loro fragilità fisica, ma anche i loro sentimenti. Infatti perché non si sentissero umiliati, dato che avevano bisogno delle cure di una ragazzina di dieci, dodici anni, parlavo con loro, li interrogavo, mi facevo raccontare scorci della loro vita, e così non badavano troppo alle mie mani che erano a contatto con i loro corpi. Cercavo di interessarli a mille cose e desideravo che loro si sentissero bene, che fossero contenti di essere curati da me.

Oggi non so se avrò bisogno anch’io di quel tipo di cura, ma è quella che vorrei, con quel “di più”. Ho due figlie ma non so se saranno premurose come lo sono stata io con i miei nonni. Comunque quello che di buono ho già vissuto non me lo toglierà più nessuno.

Anche oggi ho sentito  pronunciare e significare la parola cura  con  parole che io non sono stata capace di dire, ma che so di incarnare nel mio essere  e di essere stata capace di praticare.  Grazie.

 

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