Sebbene si considerasse “un intruso” in materia, lo psicoanalista D.W. Winnicott non rinunciò a riflettere sui significati della parola democrazia, citando tra i tanti “un sistema sociale che, attraversando un periodo di particolare fortuna, può permettersi di concedere libertà d’azione agli individui”.
Peccato che di “particolare fortuna” non si possa parlare ai nostri giorni dal momento che molte democrazie sono squassate da una crisi acuta. Di mezzo c’è la questione del debito pubblico (molto alto) e dei mercati (che hanno perso fiducia); dei bonus nel settore finanziario e del suo insopportabile sistema di valori (o disvalori). Ma c’è anche la rappresentanza e il rapporto tra governanti-governati: chi ha l’autorità di decidere se la classe politica fa male il suo lavoro, se il sistema è in panne, se i boss della finanza si arricchiscono mentre le classi medie vanno in rovina e la vita dei figli, con questi chiari di luna, sarà peggiore di quella di genitori?
Per un governo – una volta esclusi i carri armati – in una crisi tanto acuta non è semplice convincere della bontà-necessità delle sue ricette.
Il premier greco Papandreou si era immaginato di indire un referendum sugli euro aiuti, e sui conseguenti pesanti sacrifici. Proposta ritirata due giorni dopo, visto il terremoto provocato nelle borse europee. Tuttavia, mettersi all’ascolto del popolo non basta. C’è sempre un “dopo” in agguato. In Italia, da chi e come sarà gestita l’acqua pubblica “dopo” il risultato del referendum?
A proposito dell’Italia, sofferente di una malattia simile a quella della Grecia, in una intervista (a Aldo Cazzullo, sul “Corriere della Sera”) Pier Ferdinando Casini ha proposto, per uscire dalla crisi, “subito un governo di larghe intese” in quanto un governo del 51% non riuscirebbe a far passare “scelte impopolari e condivise”.
Sul serio, avere nella compagine governativa Casini, Bersani, Rosy Bindi, Di Pietro, Vendola e pure Pisanu e magari Fini, scioglierebbe i nodi della nostra democrazia?
Casini, Bersani, gli altri/le altre sono molto presi dal gioco politico. Per l’intanto sbattiamo giù Berlusconi; poi si vedrà cosa è meglio fare: ciascuno nell’interesse del proprio elettorato. Ma lo scollamento tra governanti-governati rimane.
Non solo perché i governanti sembrano poco propensi a subordinare la loro azione politica “al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto” (dal discorso del Papa al Bundestag). Il problema è che manca l’autorità: dei politici, dei governi, di chi dovrebbe regolare i mercati finanziari. «La forte disuguaglianza è il marchio di una economia disfunzionale, dominata da un settore finanziario guidato da speculazione, frode e appoggio governativo tanto quanto da investimenti produttivi» ha ammesso persino il “Times”.
Ci vorrebbe una democrazia un po’ più attraente del principio “una testa un voto”. Possiamo inventarcela; concepire modalità inedite per la vita, l’economia, il lavoro. Intanto qualcosa hanno inventato quelli di Occupy Wall Street o di Puerta dl Sol: un po’ meno gli “indignati” italiani con la manifestazione assai rituale, violenze a parte, del 15 ottobre.
Irene Sotiropulou (nel settimanale “Vita”) ha descritto una “economia delle relazioni” che, lontana dagli scontri di piazza Syntagma, sta crescendo in Grecia attraverso reti “di condivisione” sparse un po’ dovunque.
Una attività “non unicamente economica ma anche sociale”. La crisi costringe a darsi da fare, ma è importante la ricerca di luoghi dove i rapporti siano in grado di “migliorare la propria vita”. Il che significa risparmiare denaro e partecipare alla costruzione di un “modo diverso di fare economia”. Pare che le donne siano le attrici principali di questa “economia delle relazioni”. Sono le donne che tengono e tendono a dare valore all’esperienza in prima persona (Ina Pretorius in Quaderni di Via Dogana, Libreria delle donne di Milano, 2011). Le ritrovi, appunto, nelle cooperative, associazioni, gruppi di pensiero. Nelle reti di relazioni.
Mi obietterete che sono lontane dal FMI. Che non hanno strumenti contro quel Moloch che ha arricchito pochi e impoverito tanti.
Potrei rispondere che, in fondo, offrire esempi di una gestione sensata delle proprie vite, può tradursi in un “buon fare”. Anche se non è direttamente “lotta contro il Capitale” (obiettivo di Toni Negri). Anche se dovessimo scoprire che siamo alla fine del Capitalismo (parola di Zizek).
Questo “buon fare” non ha bisogno del consenso attraverso un referendum o della legittimazione democratica attraverso il voto. Evita il corpo a corpo con il potere. Tanto, aggiungo io, questo corpo a corpo è proprio “niente di niente” (il Leprotto Bisestile di “Alice nel Paese delle Meraviglie”).