Il recente vertice tra il presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel sulle scelte europee è stato criticato da più parti e per più motivi. Una delle critiche è stata rivolta anche al proposito di rilanciare l’idea di una tassa sulle transazioni finanziarie.
In un momento di crisi acuta – è stato detto – questo provvedimento rischia di deprimere ulteriormente gli scambi. Inoltre avrebbe efficacia solo se applicato globalmente, e siccome il parere dei governi, degli esperti e soprattutto del mondo finanziario sono discordi, sarà ben difficile, se non impossibile, attuarla.
Di parere diverso, favorevole all’introduzione della tassa, è Sabina Siniscalchi, “senior advisor” della Fondazione Culturale Responsabilità Etica, collegata alla Banca Etica, e impegnata proprio nella campagna “zerozerocinque”, attivata da tempo per introdurre appunto un prelievo dello 0,05% su tutte le transazioni finanziarie.
“Ero a favore della Tobin tax – ricorda Sabina – già negli anni ’90, quando si diffuse il movimento no global e lavoravo con Mani Tese. Oggi c’è stato un ritorno fortissimo di quell’idea dopo la crisi del 2008 che, non dimentichiamolo, è stata originata proprio dalle distorsioni del sistema finanziario, che è cresciuto su se stesso in una logica sempre più staccata dall’economia reale, moltiplicando prodotti che si sono autoalimentati in una bolla basata sui debiti e che poi è esplosa in modo disastroso”.
Negli anni la proposta si è modificata?
Allora la speculazione avveniva soprattutto sulle valute – si ricorderanno gli attacchi alla lira nel ’92 e alle monete del Sud Est asiatico nel ’97 – e la tassa, con percentuali più alte, intorno all’1 per cento, era stata pensata per le transazioni sulle monete. Ma da allora il volume degli scambi finanziari è enormente aumentato per la globalizzazione e deregolamentazione dei mercati e l’uso delle nuove tecnologie: negli ultimi 10 anni si calcola di 600 volte. Oggi quindi si pensa a una tassa di entità minima, appunto lo 0,05%, ma da applicare a tutti gli scambi: si tratta di affari per circa 4000 miliardi di dollari al giorno.
Come rispondi alle critiche di questi giorni: avrà un effetto depressivo in una crisi già gravissima, non si riuscirà a applicarla in tutto il mondo, con il rischio che i capitali fuggano dove la tassa non c’è?
Intanto osservo che Merkel e Sarkozy hanno dato voce a un orientamento già emerso da parte della Commissione europea e suffragato da molti approfonditi studi. Può darsi che all’inizio un effetto negativo possa esserci, ma molto dipenderà dal modo e dalla convinzione con cui la tassa sarà decisa e applicata. Quanto all’estensione, esistono fior di pareri secondo i quali anche la sola applicazione nell’area europea – un mercato enorme, dal quale è ben difficile poter prescindere – potrebbe avere effetti positivi. E quindi contribuire a innescare un processo globale.
Ma quali sarebbero gli effetti positivi e i vantaggi prodotti dalla Tobin tax?
Oggi si parla di TTF, tassa sulle transazioni finanziarie: l’effetto sarebbe quello di calmierare un po’ gli scambi che hanno un mero significato speculativo, e di ricavare risorse utili per intervenire contro la crisi. In un momento in cui, poiché i bilanci di quasi tutti gli stati sono dissestati a causa del flusso di denaro assegnato alle banche per arginare il crollo, ora non ci sono più soldi per appoggiare la ripresa e combattere le disuguaglianze e la povertà. Pochi lo scrivono e lo ricordano, ma secondo i calcoli dell’OCSE da quando è esplosa la crisi gli stati hanno distribuito al sistema finanziario qualcosa come 11.400 miliardi di dollari. Soldi pubblici, dei contribuenti, soldi nostri…
Quanto potrebbe rendere la tassa?
Si calcola che, se applicata in modo globale, potrebbe produrre 650 miliardi di dollari all’anno. Se applicata solo nell’Unione Europea, circa 200 miliardi. Risorse che potrebbero essere destinate a vari obiettivi: il risanamento dei bilanci pubblici, che oggi pesa sempre di più sugli strati popolari e produce un avvitamento recessivo (lo stiamo vedendo bene in Italia); il sostegno all’occupazione; la lotta alla povertà; gli investimenti per l’ambiente e l’economia verde.
Chi la sostiene in Italia e nel mondo?
Un fronte sempre più largo: dalle organizzazioni no profit ai sindacati, a molte forze politiche, a sinistra ma non solo, e da centinaia e centinaia di economisti in tutto il mondo. Mozioni trasversali sono state approvate dal Parlamento europeo e anche dal Parlamento italiano. Ormai si è fatta strada la consapevolezza che non ha alcun senso accettare senza reagire una logica finanziaria che alimenta guadagni e perdite solo dallo scambio di denaro, senza riflessi in investimenti produttivi, e che non è vero che da questo modello derivi comunque sviluppo, come da trent’anni teorizzano i sostenitori dell’autoregolazione del mercato. E’ un meccanismo che crea instabilità e provoca crisi molto profonde: con l’aggravante che mentre fino a un certo punto le crisi investivano singoli paesi o aree geografiche, oggi vediamo una diffusione pressoché globale degli effetti della crisi, proprio per l’interconnessione strettissima tra i mercati. Chi si oppone lo fa per motivi ideologici e per interessi molto concreti: sono le lobby delle banche e della finanza a fare un fuoco di sbarramento.