Più che maldestro, come dice Rosi Bindi del manifesto Pd per la festa romana dell’Unità, gambe di donna sotto una gonna al vento, io lo definirei sbagliato. Senza appello. Rivela la totale incomprensione di quel cambiamento che si vorrebbe rappresentare con quel vento che scompiglia le gonne delle ragazze, delle donne. E non si tratta di morale e di censura, come sostengono Franca Chiaromonte e Letizia Paolozzi, anche se riconosco che non ne manca il sapore.
Ma non mi sembra il punto centrale. Perché il fastidio non è solo delle “antiche”. Le stesse ragazze, le stesse donne che amano indossare dovunque short e tutte le possibile forme delle “nudità” estive non al mare o sui bordi di una piscina, ma negli spazi pubblici delle nostre città, non vogliono che il loro corpo, anzi parti del loro corpo, siano a disposizione per rappresentare altro da sè. Non le merci. Tantomeno la politica.
Solo loro, le ragazze, le donne, possono disporne liberamente, mostrarlo, nasconderlo come meglio credono. A ben vedere non si tratta di un approfondimento del famoso “il corpo è mio e lo gestisco io”?
Dire che non si può usare il corpo di una donna per farle dire qualcosa non scelto da lei, e che non parla di lei, è proprio così incomprensibile?
Come si gioca la partita del cambiamento, questa è la domanda. Non capirlo, non vedere che le donne ne sono il motore e non l’ornamento, rivela vuoti desolanti.